Legge di Avogadro: cosa dice e quando si utilizza
La Legge di Avogadro è stata in un certo senso la base di partenza per il concetto del numero di Avogadro. A volte viene chiamata anche principio di Avogadro ed è una delle leggi fondamentali che definiscono i gas ideali. Questo insieme alla Legge di Boyle, alla legge di Charles e a quella di Gay-Lussac.
Nonostante sia relativa ai gas ideali la legge di Avogadro in una certa misura può essere applicata anche ai gas reali. Vediamo di approfondirla.
Storia dello scienziato
A dare il nome alla Legge di Avogadro fu uno scienziato torinese, attorno all’anno 1811. Amedeo Avogadro era nato nel 1776 e inizialmente aveva provato a studiare Legge seguendo il volere del padre. Ottenne in effetti la laurea molto giovane, ma nel privato si dilettava nello studio delle scienze.
Studiò dapprima i fenomeni elettrici ispirato dalla scoperta della pila di Alessandro Volta. Da questi si spostò poi alla chimica e iniziò a dedicare molto più tempo alla scienza che alla professione di avvocato.
La definizione della Legge di Avogadro derivò dall’intuizione di collegare le basi teoriche sugli atomi di Dalton con la legge di Gay-Lussac. Questa divenne in breve uno dei principi più famosi della scienza e la base della teoria atomica. Grazie al suo lavoro aveva stabilito i rapporti di combinazione fra atomi e molecole.
Purtroppo per lo scienziato il riconoscimento del valore del suo lavoro arrivò solo qualche anno dopo la sua morte. La Legge di Avogadro all’epoca della sua formulazione non fu accettata da molti scienziati, troppo scettici sul questo “dilettante”.
Amedeo Avogadro morì nel 1856. Ignaro del fatto che al Primo congresso internazionale di chimica del 1860 finalmente la comunità scientifica internazionale lo avrebbe elogiato pubblicamente. A confermare la sua ricerca con esperimenti successivi furono in molti, tra cui Rudolf Clausius e J.H. van’t Hoff.
La Legge di Avogadro
Il principio afferma che nelle stesse condizioni di pressione e temperatura volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di molecole. Questo significa che il volume di una sostanza gassosa non dipende dalla dimensioni delle molecole ma solo dal loro numero effettivo.
Ad esempio un litro di neon (Ne) e un litro di ossigeno (O) contengono lo stesso numero di molecole nonostante i due gas siano molto diversi. A patto che però siano mantenuti alla stessa temperatura e in uguali condizioni di pressione.
Formulando la Legge di Avogadro lo scienziato ipotizzò anche l’esistenza di molecole biatomiche nei gas. L’idea nacque dall’esperimento per dare origine al cloruro di idrogeno, che produceva due volumi di HCl e non uno. La spiegazione più facile era che l’idrogeno fosse formato da molecole H2 e non da H singoli.
Poiché i volumi dei reagenti erano uguali avrebbero dovuto avere lo stesso numero di atomi o molecole. E così era, solo che in un caso erano atomi singoli e nell’altro molecole biatomiche. Queste però durante la reazione si scindevano, formando nuovi legami.
Con la legge di Avogadro e le sue ricerche successiva si poté così confutare che nelle reazioni i gas dovessero essere sempre bilanciati in un rapporto 1:1. Considerando anche le molecole biatomiche infatti la prospettiva cambiava radicalmente.
Applicare la legge ai casi pratici
Un corollario della legge dello scienziato torinese è dunque che in condizioni standard una mole di un qualsiasi gas occupa sempre lo stesso volume, V0. V0 ovviamente corrisponde a 22,41 litri.
Se si considerano invece più moli dello stesso gas allora si può calcolare il volume con la formula V = nV0. Con n si indica il numero delle moli di gas mentre V0 è il volume di una mole nelle condizioni standard. Chiaramente si tratta di valori approssimati poiché gas reali occupano volumi leggermente diversi rispetto a quelli ideali che rispettano il principio di Avogadro.