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Eufemismo: definizione, significato e quando si usa

Eufemismo: definizione, significato e quando si usa

eufemismo
  • Nausicaa Tecchio
  • Gennaio 16, 2023
  • Guide
  • 4 minuti

Eufemismo: definizione, significato e quando si usa

“Dire così è un eufemismo“, una frase che è tutt’altro che sconosciuta a molti. Questo termine identifica una particolare figura retorica che viene utilizzata spesso in particolari situazioni, solitamente di carattere formale. Risulta anche ricorrente nella prosa e nella poesia italiana, come la metafora, la similitudine o la metonimia. 

Vediamo di comprendere in che cosa consiste e di fare qualche esempio a riguardo. 

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La definizione di Eufemismo

Questo termine deriva dalla parola greca  ευφημέω, a sua volta composta dall’unione del prefisso ευ e il verbo φημέω. Il primo significa bene, buono mentre il secondo tradotto significa suonare, risuonare. Unite quindi indicano qualcosa che suona bene. Non si tratta però tanto di qualcosa di riferito alla musica ma al linguaggio.

L’eufemismo è una frase che vuole ridimensionare una situazione o un oggetto non gradevoli per renderli meno impattanti o meno importuni. A volte anche il riguardo per il credo o i principi di qualcuno può portare a ricorrere a questa figura retorica. Il motivo che porta a usarla più spesso è quello morale, per esempio quando si tratta della tematica sessuale. 

Più che la necessità di abbellire alcuni temi in letteratura solitamente le espressioni eufemistiche derivano da una specie di forma di censura che si sente come obbligatoria. Il suo utilizzo è frequente anche nel linguaggio di tutti i giorni quando si percepisce qualcosa che vorremmo dire come troppo diretto o crudo per l’interlocutore. 

In alcuni casi però l’eufemismo può essere usato anche con tono ironico soprattutto nelle serie televisive e nei film. Un esempio è quando risulta evidente ciò di cui si sta parlando (per gli spettatori) ma i personaggi continuano a usare espressioni riduttive per evitare di ammetterlo. Soprattutto nelle sitcom è un cliché molto sfruttato.

Esempi quotidiani

Per spiegarsi al meglio è il caso di partire con le espressioni eufemistiche che vengono usate nella vita di tutti i giorni. Una di quelle che si dicono quasi in automatico quando ci viene chiesto di dare un parere su qualcuno che riteniamo poco attraente è “non è bellissimo/a”. Insomma una frase di circostanza per evitare di usare i termini brutto/a. 

Un altro eufemismo che si usa sempre in un contesto simile quando si conosce qualcuno che non suscita particolare interesse è dire “non è il mio tipo”. In questo modo si evita di formulare un giudizio pesante limitandosi a far capire che se non è adatta per noi quella persona potrebbe piacere ad altri. 

Passando invece a un’altra situazione ricorrente, spesso ci si ritrova a dover attenuare i propri giudizi a tavola. Se si è invitati a cena e i piatti non soddisfano, alla richiesta di un parere si dirà “ha un sapore particolare” anziché ammettere che il gusto è proprio sgradevole. Lo stesso vale per bibite o profumi non graditi.

Infine per chiudere la sfera del quotidiano si può citare un eufemismo molto usato per evitare di dire che qualcuno si sia ubriacato. A tutti è capitato almeno una volta di dire che qualcuno è “su di giri” in modo da ridurre la percezione negativa che avrebbe usare il verbo corretto. Si usa quasi senza pensarci. 

L’eufemismo come forma di tatto

Molto spesso capita di dover utilizzare questa figura retorica anche per evitare di scendere nei dettagli di situazioni dolorose. Quasi mai si sente dire che un amico o un parente è morto, ma più spesso si usano frasi più attenuate come è mancato oppure se ne è andato. C’è chi le usa per non rattristare gli altri o per proteggere sé stesso. 

Un altro esempio è relativo a un tema che per la maggior parte delle persone è difficile nominare. Vale a dire l’autolesionismo e la sua forma estrema,  il suicidio. Spesso si usa un eufemismo come “si è fatto del male” o “non ce la faceva più” anziché dire direttamente “si è suicidato”. 

Anche quando si tratta di condizioni fisiche precarie si è portati ad usare espressioni più velate. Anziché dire che qualcuno dopo un incidente è diventato paraplegico si dice che non può più camminare. Se qualcuno è malato ed è in condizioni gravi si tende a dire deve stare a letto per non aggiungere altri particolari.  

Un’altra circostanza che tocca la sensibilità di molti è quando una madre affronta un aborto spontaneo a causa di un problema di salute. In tali circostanze ricorre l’eufemismo della frase ha perso il bambino. Si tratta di una questione di tatto anche perché dato che sono espressioni molto usate chi ascolta capisce di non dover fare altre domande. 

Il suo opposto: il disfemismo

Se esiste una figura retorica per alleggerire alcune espressioni, naturalmente non può mancarne una che faccia esattamente il contrario. Nel caso dell’eufemismo il gemello oscuro è rappresentato dal disfemismo. Anziché cercare di attenuare un tono duro questo punta a trovare il modo più aggressivo di esprimere un concetto.
 
Il suo utilizzo è prevalentemente a fini sarcastici o umoristici. e il termine deriva a sua volta dal greco antico. Molto probabilmente è nato dalla radice del verbo  δυσϕημέω che infatti significa offendere, oltraggiare. In molti casi però appunta l’accezione non è per forza mirata a ferire i sentimenti ma è intesa in tono scherzoso.
 
Come per l’eufemismo anche per il disfemismo conviene fare un paio di esempi. Uno dei più comuni è riferirsi alla madre o al padre chiamandoli “il mio/la mia vecchio/a“. In molti lo fanno e non è certo per offendere i genitori ma piuttosto per scherzare sul fatto che si avvicinino all’anzianità man mano che il figlio cresce. 
 
Un altro disfemismo comune è quello di chiamare le persone strette “criminali” quando per esempio non restituiscono subito i soldi per un regalo. Oppure se un bambino combina un guaio dargli del “piccolo brigante”, senza volerlo dire nel senso reale del termine. 
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