Erasmus nazionale: la ministra Bernini lascia l'idea "Made in Italy"
Sentire l’espressione Erasmus nazionale può confondere molto dato che a primo acchito si tratta di un ossimoro. La stessa parola Erasmus è una contrazione del nome European Community Action Scheme. Nasce come programma di mobilità per i giovani e in particolare gli studenti all’interno dell’UE e fra i paesi associati come la Norvegia.
Ad utilizzare di recente questa espressione apparentemente contraddittoria tuttavia è stata Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca. Per il momento non si sanno i dettagli di questo nuovo progetto ma l’idea di base è favorire più scambi fra gli atenei italiani. Molti ragazzi si spostano a studiare nelle regioni del Nord Italia e questo crea un divario.
Erasmus nazionale, un’idea presentata a Cagliari
Come sempre gli atenei organizzano una cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico verso l’inizio della primavera. In questa occasione si svolgono concerti, conferenze e si ospitano in genere ospiti di rilievo. Quest’anno a Ferrara ha partecipato all’evento il presidente Sergio Mattarella mentre a Cagliari è toccato alla ministra Bernini.
Durante il suo intervento parlando della necessità di incoraggiare i ragazzi a continuare la propria formazione è spuntata proprio l’espressione “Erasmus nazionale”. A livello nazionale pare si stia evidenziando una percentuale in calo delle iscrizioni all’interno degli atenei così come quella di abbandono degli studi.
Per la precisione pare che per l’anno 2022-2023 siano 10.000 le matricole in meno rispetto all’anno precedente. Per fare una stima si confronta il numero delle iscrizioni con quello dei diplomati registrati nello stesso anno. Pare anche che siano sempre di più i ragazzi che puntano alle facoltà del Dipartimento di Ingegneria dove sta crescendo anche la presenza femminile.
Da un lato si è ipotizzato che questo calo sia dovuto all’esperienza del Covid-19 che ha costretto alla DAD interi corsi universitari per lunghi periodi. Tuttavia dato che ormai da un anno la situazione si sta riassestando c’è da chiedersi se non sia il caso di prevedere riforme e migliorie per le fragilità interne al sistema.
Una spinta verso le realtà locali anche per lo studio
Non è sconosciuto il fenomeno dei ragazzi del Mezzogiorno che puntano alle università del Nord del paese. Del resto la fama degli atenei di Milano come la Bocconi o il Politecnico come della Ca’ Foscari per lo studio delle lingue è nota anche all’estero. L’Erasmus nazionale però vorrebbe proprio arrivare a ridurre questa fuga di cervelli dal centro-sud.
Proponendo un programma di mobilità a livello nazionale i ragazzi però potrebbero sentirsi meno in dovere di trasferirsi. Potrebbero ad esempio studiare nell’ateneo della propria città e svolgere il tirocinio di laurea in un’altra università che considerano più qualificata o più stimolante. Lo stesso vale in caso si scelga una sede per dei corsi che non si trovano altrove ma che durano un solo semestre.
Non è facile capire però come andrebbe impostato un Erasmus nazionale soprattutto per quanto riguarda gli alloggi. Solitamente i contratti di affitto richiedono una presenza stabile di almeno un anno ma queste esperienze in genere durano meno di sei mesi. Non è raro che trovare un appartamento per poco tempo sia una vera e propria impresa.
Durante il discorso della cerimonia la ministra Bernini ha già rasserenato un po’ gli animi affermando che comunque ci saranno dei sostegni economici. Quando si parte in Erasmus si riceve un rimborso se il learning agreement stipulato dagli studenti viene rispettato e probabilmente ci sarà un sistema analogo.
L’Erasmus nazionale è già nell’aria da qualche anno
Anche se furono solo i giornali tre anni fa a classificare la proposta come Erasmus nazionale c’è da chiedersi se il nuovo governo non abbia preso spunto da lì. Una possibilità che segnerebbe un cambio di tendenza. Infatti non si può dire che questa proposta fosse stata accolta con entusiasmo, anzi era stata definita da molti ingenua se non addirittura assurda.
A creare il clima adatto per riesumare la proposta potrebbe essere stata anche la difficoltà oggettiva delle città universitarie a trovare posto per tuti. Mentre alcune università si trovano le aule vuote altri straripano con conseguenti difficoltà a gestire le attività didattiche. Basti pensare all’organizzazione dei turni di laboratorio in ambienti con un numero di postazioni fisso.
Gli stessi studenti fanno esperienza diretta di alcune situazioni in cui è difficile trovare un relatore disponibile per l’ennesimo tesista o tirocinante. Soprattutto mentre si considera di togliere il numero chiuso pensare a un modo per redistribuire il carico di lavoro degli atenei è necessario.