Carboidrati in chimica: definizione
Il termine carboidrati dice già molto sulla composizione di queste biomolecole. Gli elementi che contengono infatti sono carbonio (C), idrogeno (H) e ossigeno (O). Spesso li indichiamo anche con la denominazione di glucidi in modo generico, mentre in chimica organica possiamo parlare anche di poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni.
Insieme alle proteine e ai lipidi sono i macronutrienti essenziali, ovvero le sostanze che forniscono energia al nostro organismo oltre a comporlo. Possiamo suddividerli in diversi tipi in base alla complessità e al peso molecolare, caratteristiche che conferiscono loro proprietà fisiche e chimiche anche molto diverse.
La classificazione dei carboidrati
Partiamo a esaminare la formula generale per distinguere questa categoria di biomolecole, ovvero Cn(H2O)n. Ci sarà quindi sempre una corrispondenza fra atomi di carbonio e ossigeno, mentre idrogeno e ossigeno rispetteranno il rapporto 2 : 1. Lo vediamo anche nella molecola d’acqua, e da qui la dicitura -idrati.
In base al peso e alla struttura molecolare li classifichiamo secondo quattro categorie:
- Monosaccaridi
Alcuni esempi sono il fruttosio, il glucosio e il galattosio, che in forma pura si presentano come solidi cristallini, solubili in acqua e dal sapore dolce. I primi due li troviamo nella frutta e il terzo nel latte, e sono i carboidrati dalla struttura meno complessa, ma a loro volta si suddividono in triosi, pentosi o esosi a seconda del numero di atomi di carbonio. - Disaccaridi
Si tratta di zuccheri formati da due monosaccaridi, come il saccarosio e il lattosio. Il primo deriva dalla condensazione di una molecola di fruttosio e una di glucosio, il secondo invece è composto da glucosio e galattosio uniti da un legame C1-C4. - Oligosaccaridi
Questi glucidi sono formati da un numero di monomeri variabile fra 2 e 10. Ne fanno parte i disaccaridi (che però normalmente consideriamo come un gruppo a sé stante), i trisaccaridi e i tetrasaccaridi e così via. - Polisaccaridi
Queste macromolecole sono insolubili in acqua a differenza dei monosaccaridi e dei disaccaridi e sono formati da più di 10 molecole di zuccheri. Comprendono la cellulosa, l’amido e il glicogeno, e possono legarsi a polipeptidi formando le glicoproteine.
I monosaccaridi aldosi
All’interno del gruppo dei carboidrati più semplici possiamo operare un’ulteriore distinzione basandoci sui gruppi funzionali presenti nella catena. Parliamo per la precisione di monosaccaridi aldosi quando c’è un gruppo aldeidico (-CHO) sul carbonio terminale della catena. L’esempio classico che si usa è il glucosio, ma è evidente solo nella forma lineare.
Quando la catena di atomi di carbonio si chiude ad anello questo gruppo infatti reagisce con il gruppo -OH dando luogo a un emiacetale. Dopodiché in base al numero di atomi di carbonio presenti nella molecola possiamo parlare di aldotriosi (3 atomi di C), aldotetrosi (4 atomi), aldopentosi (5 atomi) e aldoesosi (6 atomi).
Tra gli aldoesosi oltre al glucosio possiamo nominare il D-mannosio, noto in farmacologia per i benefici che dà nel trattamento della cistite. Rende infatti difficile ai batteri l’adesione alle pareti della vescica.
Un esempio di zucchero aldoso invece è la gliceraldeide, di formula bruta C3H6O3. Nella nomenclatura IUPAC la indichiamo come 2,3 diidrossi propanale, ma per i carboidrati come ormai sarà evidente si predilige quella tradizionale. Così vale almeno per gli zuccheri più conosciuti per semplificare la loro identificazione.
I monosaccaridi chetosi
Classifichiamo questi carboidrati semplici come chetosi quando invece presentano un gruppo chetonico. Vale a dire un carbonio che ha doppio legame con l’ossigeno (>C=O). Come esempio possiamo riportare la molecola di fruttosio, che presenta questo gruppo in posizione due all’interno della catena.
Dato che troviamo il fruttosio nella forma di anello abbiamo anche qui una reazione fra il gruppo chetonico e il gruppo idrossilico OH. Questo porta alla chiusura della catena e la formazione di un emichetale. Nel caso del fruttosio che in tutto ha cinque atomi di carbonio nella struttura anulare parliamo di anello furasonico (il sesto è legato come sostituente).
Come per gli aldosi per definire i monosaccaridi di questo tipo dobbiamo precisare quanti atomi di C comprende la molecola. Quindi avremo i chetotriosi quando ci sono tre atomi, i chetotetrosi se sono quattro, i chetopentosi se si arriva a cinque e così via. Uno dei carboidrati chetopentosi importante nel nostro organismo è il ribulosio, presente nella molecola di RNA.
Un esempio di chetotreosio invece è il glicerone, che rappresenta una molecola intermedia nel metabolismo del fruttosio. Più spesso lo si trova indicato nei libri con la sigla DHA ed è noto perché qualche decennio fa si usava come alternativa allo zucchero per i bambini diabetici. Se tocca la pelle lascia una traccia scura, il che portò ad usarlo come sostanza abbronzate.
Le regole della nomenclatura IUPAC dei carboidrati
Negli zuccheri aldosi indichiamo il carbonio con il gruppo aldeidico come C1, mentre nei chetosi quello con il gruppo chetonica è di solito il C2. In generale l’atomo con un doppio legame con l’ossigeno deve portare il numero più basso possibile.
Queste regole valgono anche quando si considerano i disaccaridi, non solo i carboidrati più semplici. Se consideriamo non più uno zucchero con una catena lineare ma una ciclizzata allora si indica come C1 il carbonio anomerico. Vale a dire quello che prima aveva il gruppo aldeidico o chetonico e che rappresenta un centro chirale della molecola.
Per i carboidrati disaccaridi ci sono delle regole che aiutano a capire al numerazione relative ai legami. Il lattosio per convenzione forma il legame fra il galattosio e il glucosio nella forma C1-C4. Vale a dire il carbonio anomerico del galattosio e il carbonio in posizione 4 del glucosio. In un carboidrati complesso come l’amido sappiamo che le molecole di glucosio sono unite con legame α(1-4).