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Cloroformio: proprietà ed effetti del composto organico

Cloroformio: proprietà ed effetti del composto organico

Cloroformio composto organico
  • Nausicaa Tecchio
  • 9 Febbraio 2022
  • Consigli per lo studio
  • 4 minuti

Cloroformio: proprietà ed effetti del composto organico

Il cloroformio è un composto organico che appartiene agli alogenuri alchilici. Nel pubblico è noto soprattutto per le sue proprietà narcotiche ed anestetiche. Fin dal 1800 sono note queste sue caratteristiche e proprio per questo ricorre anche nei media (serie TV, film). Persino i fumetti lo hanno “pubblicizzato” (es. le storie di Topolino).

Come agisce e come si produce? Approfondiamo lo studio di questa molecola così celebre.  

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Il cloroformio: formula e sintesi 

La formula molecolare di questo composto è CHCl3. La nomenclatura IUPAC corrispondente dunque è triclorometano; partendo dal metano (CH4) tre idrogeni cedono posto ad altrettanti atomi di cloro (Cl-). 

Appartiene agli alogenuri alchilici, che derivano infatti dalla sostituzione degli idrogeni di idrocarburi alifatici con alogeni. Gli alogeni sono il cloro (come in questo caso), il fluoro (F), il bromo (Br) e lo iodio (I). Il cloroformio presenta una struttura tetraedrica, con il carbonio centrale. Quello utilizzato a livello industriale si presenta in forma liquida ma forma vapori inalabili e ha un odore caratteristico. 

Le caratteristiche della forma liquida sono trasparenza (incolore), volatilità, resistenza alla combustione e stabilità in ambiente secco e protetto dalla luce. Nelle industrie si usa principalmente per produrre il clorodifluorometano, uno dei precursori del teflon. Questo prodotto è sfruttato per i rivestimenti antiaderenti delle pentole, soprattutto padelle e tegami. 

La sintesi del cloroformio avviene partendo da metano e cloro e richiede una temperatura di range 400-500°C. La reazione si compie per via radicalica: CH4 + Cl2 → CH3Cl + HCl. Per esteso, cloro molecolare e metano formano clorometano e acido cloridrico. Servono altri due passaggi, poiché ogni reazione toglie un atomo di idrogeno sostituendolo con un cloro.

Quindi avremo CH3Cl + Cl2 → CH2Cl2 + HCl da cui otterremo diclorometano e acido cloridrico. Infine CH2Cl2 + Cl2 → CHCl3 + HCl, con prodotti cloroformio e acido cloridrico. Con una clorurazione ulteriore si può ricavare il tetraclorometano.

Proprietà anestetiche 

La scoperta di questo composto avvenne  nel 1831 grazie al chimico Guthrie Harbor. Non si hanno notizie relative al suo utilizzo fino a diversi anni dopo, nel 1840. L’uso divenne presto diffuso nella medicina dell’epoca per l’effetto che i vapori della sostanza ottenevano sulle persone. All’epoca per l’anestesia era usato l’etere che però comportava effetti indesiderati (nausea, vomito).

Il cloroformio esercita un effetto deprimente a livello del sistema nervoso centrale. A piccole dosi la sensibilità al dolore si riduce molto, se inalato a concentrazioni più elevate subentrano narcosi e incoscienza. Il primo ad utilizzarlo fu un dentista scozzese, poi fu il turno di un ostetrico per alleviare il dolore del parto.

In Inghilterra la sostanza divenne talmente popolare che le cronache dell’epoca parlano di feste a tema. I partecipanti inalavano a turno i vapori del composto fino a collassare. La stessa Regina Vittoria accettò la sua somministrazione per dare alla luce un figlio, rischiando delle critiche. La morale cristiana infatti voleva che le doglie fossero dolorose come enunciato nella Bibbia.

Al giorno d’oggi l’uso come anestetico è cessato a causa della tossicità evidenziata da parte del composto. Il cloroformio può provocare anche la morte se somministrato in dosi eccessive. Questo è legato all’ipotensione che ne consegue, che può degenerare in un arresto cardiaco. Gli vengono attribuite anche aritmie cardiache in seguito all’inalazione e danni al fegato.

 

Scheda di sicurezza della sostanza

Leggendo la SDS del cloroformio diviene chiaro perché il suo utilizzo in medicina sia cessato. In particolare l’indicazione di pericolo H351 lo classifica come sospetto cancerogeno. Sono indicati anche possibili danni a fegato, reni e alla pelle in caso di esposizione cutanea (H373, H315).

Le raccomandazioni di prudenza raccomandano infatti di limitare al minimo l’esposizione avendo cura particolare di proteggere occhi e viso. Guanti e indumenti protettivi sono fortemente consigliati, così come lavare immediatamente la cute in caso di contatto (P280, P302). Per gli occhi si utilizzano occhiali protettivi da laboratorio e per la pelle guanti impermeabili (in viton).

La conservazione del cloroformio deve avvenire sotto chiave (P405) per evitare esposizione a luce ed umidità. Se esposto alla luce si può decomporre in fosgene. Si tratta un composto tristemente noto per il suo utilizzo durante il Primo Conflitto Mondiale. Ha azione tossica e asfissiante sull’uomo, oltre che lacrimogena. 

Un avvelenamento da fosgene provoca anossemia nell’organismo. Il plasma abbandona il sangue che diventa così più denso complicando la circolazione. I tessuti non ricevono abbastanza ossigeno e le conseguenze sono molto severe. Il danno avviene a livello dei capillari, che diventano permeabili al plasma. 

Nelle norme di primo soccorso è raccomandato di portare l’infortunato all’aria aperta e procedere alla respirazione artificiale in caso di svenimento. Se avviene un’ingestione limitarsi a sciacquare la bocca con acqua, senza indurre il vomito per l’effetto corrosivo sull’esofago. 

Come accennato, il cloroformio non è infiammabile. Le alte temperature però possono creare vapori tossici e acidi quindi è bene non avvicinarsi alla zona senza autorespiratori e indumenti di protezione totale.

Controversie attuali 

L’utilizzo a livello industriale del composto è ormai limitato alla produzione del materiale plastico PTFE, antiaderente e resistente al calore. In passato il cloroformio era stato impiegato anche per un liquido refrigerante, dopo aver reagito con acido fluoridrico. Il prodotto chimico che ne risultava si è rivelato però fortemente dannoso per lo strato di ozono atmosferico.
 
 Si tratta del calibro di refrigerazione R-22. A dispetto del suo effetto erosivo è spesso utilizzato negli impianti di condizionamento nell’aria. Viene considerato un refrigerante primario, ma deve essere monitorato costantemente. Pressione e temperatura dell’R-22 non devono mai scendere al di sotto di alcuni parametri fissati. Costituiva ad alternative più pericolose per l’ozono quali CFC-11 e CFC-12.
In Unione Europea il suo utilizzo è stato via via ridotto dal 2010 in poi. Lo stesso è avvenuto negli Stati Uniti in seguito ad una decisione della Corte d’Appello risalente al 2017. 
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