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L’acido piruvico e la decarbossilazione ossidativa

L’acido piruvico e la decarbossilazione ossidativa

acido piruvico - struttura
  • Nausicaa Tecchio
  • 31 Agosto 2024
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Il piruvato e il processo successivo alla glicolisi

Nel metabolismo del glucosio l’acido piruvico (piruvato) è il substrato di partenza per formare l’acetil-CoA e dare inizio al ciclo di Krebs. Per ottenerlo è necessario un processo chiamato decarbossilazione ossidativa che è immediatamente successivo alla glicolisi. Senza questo passaggio non è possibile procedere con la respirazione cellulare.

Oltre a essere la molecola che funge da anello di congiunzione fra la glicolisi e il ciclo di Krebs però questo acido gioca un ruolo importante in un secondo processo. Parliamo della gluconeogenesi, ossia la sintesi di glucosio da parte dell’organismo quando si presenta una sua carenza, partendo dal piruvato.  

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Che cos’è l’acido piruvico?

Anche se in tutti i libri di Biologia e Biochimica gli si fa riferimento così in Chimica Organica è più corretto chiamarlo acido 2-ossopropanoico. Appartiene al gruppo degli α-chetoacidi, ovvero acidi carbossilici che presentano un gruppo chetonico sul carbonio adiacente al gruppo carbonilico. Se è legato qui infatti si dice che si trova in posizione alfa.

Questo gruppo di composti organici si contraddistingue per l’acidità elevata. La costante di dissociazione acida (Ka) dell’acido piruvico è infatti pari a 2,4, che indica una discreta forza. Come per la maggior parte degli α-chetoacidi si tratta di un composto intermedio per la sintesi di altre sostanze. Si tratta del prodotto finale della glicolisi, e da esso di può ricavare l’acetil-CoA. 

Si presenta all’interno delle cellule in forma liquida, facilmente solubile in acqua e stabile a meno che non si trovi esposto alla luce. Non ha colore ma come odore risulta molto simile all’acido acetico. Anche a livello di formula si tratta di acidi carbossilici molto simili, poiché quella dell’acido acetico è CH3COOH mentre quella che stiamo studiando è CH3COCOOH.

Anche se il nostro organismo lo produce in continuazione è possibile sintetizzare questo composto organico anche in laboratorio. La reazione necessaria prevede di far reagire fra di loro solfato di potassio (K2SO4) e acido tartarico. Quest’ultimo si trova in abbondanza in diversi frutti, tra cui l’uva e il tamarindo. Si utilizza in forma cristallina per questo procedimento. 

La glicolisi e la decarbossilazione ossidativa

Ora che abbiamo esaminato le caratteristiche dell’acido piruvico è ora di vedere come lo producono le cellule del nostro corpo. Dobbiamo partire dalla prima tappa del metabolismo del glucosio, ossia la glicolisi. Questa si compone in tutto di dieci reazioni, al termine delle quali si ha il guadagno netto di due molecole di ATP e di due di NADH per ciascuna molecola di glucosio. 

La decima reazione porta alla defosforilazione del fosfoenolpiruvato (PEP) che diventa così piruvato, un composto a tre carboni. Dato che si parte dal glucosio, che ne ha sei, ogni zucchero produrrà due molecole di piruvato. Se ci si trova in aerobiosi a questo punto occorre fare la decarbossilazione ossidativa prima di passare al ciclo di Krebs.

Questo processo prevede l’intervento della piruvato deidrogenasi (PDH). Si tratta di un enzima che è in grado di rimuovere il gruppo carbossilico -COOH dall’acido piruvico. A questo punto si ottiene un gruppo idrossietile a due atomi di carbonio che va incontro a ossidazione, diventando un acetile che si può legare al coenzima A (CoA).

La reazione catalizzata da PDH nel dettaglio è quella dell’equazione Piruvato + Coenzima A + NAD+ → acetil-CoA + NADH + H+ + CO2. L’acetil-CoA può entrare nel ciclo di Krebs oppure essere usato come substrato di partenza per la sintesi di alcuni amminoacidi. Serve anche per ricavare i corpi chetonici e la sintesi del colesterolo 

L’enzima che converte l’acido piruvico in acetil-CoA

La piruvato deidrogenasi PDH non è un enzima a sé stante ma fa parte del complesso multienzimatico PDC formato dalla ripetizione di tre subunità principali. Vediamole singolarmente:
 
  •  Subunità E1. Si tratta della PDH, che appartiene alla classe delle ossidoreduttasi ed è presente in 24 copie all’interno di un singolo complesso PDC. Ce ne sono altrettante della E2 e dodici della E3. 
  • Subunità E2 (lipoammide reduttasi transacetilasi). Fa uso della lipoil-lisina per sintetizzare l’acetil-CoA. Questa forma di lisina si riduce legando due atomi di idrogeno forniti dalla subunità 3 del complesso. Dopodiché cede i due idrogeni (e gli elettroni) per formare l’acetil-CoA tornando nella sua forma ossidata.
  • Subunità E3 (lipoammide reduttasi deidrogenasi). Questa terza subunità trasferisce gli elettroni alla lipoil-lisina della subunità 2. Questi sono forniti dal fattore FADH2 (flavina adenina dinucleotide) che a sua volta li acquisisce dal NADH+ + H+.
Oltre a questi tre enzimi presenti in più copie ci sono anche 5 coenzimi associati al complesso PDC. Ne abbiamo già nominati tre, ovvero il FAD, il NADH e il coenzima A. I due cofattori e in particolare il NADH li troviamo praticamente in tutte le tappe del metabolismo. Il coenzima A invece ha un ruolo anche nella β-ossidazione degli acidi grassi. 
 

I disturbi del metabolismo 

Esistono delle patologie in grado di impedire la corretta assimilazione dell’acido piruvico, per lo più di origine genetica. Un esempio è la carenza del complesso enzimatico visto prima, che può derivare da una mutazione presente sul cromosoma X. Le conseguenze sono un accumulo di piruvato e una conseguente stato di acidosi, oltre a malformazioni a carico del cervello (corteccia cerebrale).
 
Per diagnosticare questa malattia genetica occorre un’analisi del DNA accompagnata a dei saggi di attività degli enzimi. Non ci sono purtroppo delle cure pienamente efficaci, ma si possono contenere i sintomi con un dieta povera di carboidrati. Più grave è invece la carenza dell’enzima piruvato carbossilasi, fondamentale per la gluconeogenesi perché sintetizza l’ossaloacetato.
 
Ci sono tre diverse patologie che possono portare a questo tipo di carenza, indicate dai medici come tipo A, B o C. I bambini che nascono con un deficit enzimatico di tipo A muoiono durante la prima infanzia, non riuscendo a svilupparsi (si presenta circa 1 caso su 250.000 neonati). La carenza di piruvato carbossilasi di tipo B porta anch’essa alla morte entro i primi mesi di vita, mentre il tipo C non è sempre letale.
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