Time to First Byte: perché è importante per la velocità del tuo sito
Quando si nomina il Time to First Byte si fa riferimento a una qualità dei siti web. Generalmente si abbrevia con l’acronimo TTFB e fa riferimento alla prontezza del sito a fornire dei risultati quando qualcuno apre il link che lo dovrebbe indirizzare a quella pagina. Tenere conto di questo aspetto è importante soprattutto per le aziende che vogliono un portale reattivo.
A poter influenzare il TTFB ci sono diversi fattori, tra cui la qualità del servizio di hosting, le query utilizzate e altri ancora. L’importante è comprendere quanto la velocità della risposta da parte di un sito possa influenzare la percezione dell’utente.
Come definire il Time to First Byte?
Il TTFB non è altro che una metrica delle prestazioni web di una pagina che misura il tempo di elaborazione di una richiesta da parte di un utente. Per la precisione stima la latenza tra il click sul link di riferimento e il momento in cui si riceve il primo byte di risposta dal server. La sua unità di misura è il millisecondo (ms).
Per definire buono il Time to First Byte di un sito questo deve restare al di sotto dei 600 ms, lo si può ritenere accettabile fino a 1800 dopodiché lo si considera eccessivo. In altre parole si può dire che questo parametro stima la velocità necessaria per stabili una connessione, per poi iniziare a scaricare i dati del sito di interesse.
Il tempo richiesto dal TTFB è la somma di quello di tre fasi distinte, il primo dei quali è l’invio della richiesta HTTP. A questa segue la procedura di elaborazione di tale richiesta e infine il tempo di download del primo byte del sito. In inglese si chiamano HTTP Request Time, Process Request Time e HTTP Response Time.
Il valore che assume questo indicatore è cruciale per poter identificare quali siano le debolezze del sistema di connessione. Basandosi sul TTBF le aziende possono infatti intervenire per migliorare le prestazioni del proprio sito web. In particolare l’ultima fase delle tre elencate prima può influenzare notevolmente il risultato.
Quanto è vantaggioso avere un buon TTBF
L’esperienza di navigazione di un utente è legata in modo imprescindibile al Time to First Byte dei siti a cui si rivolge. Dover aspettare davanti alla pagina web in fase di caricamento non piace a nessuno, soprattutto considerato che i tempi di Internet Explorer sono finiti. La preferenza va sempre agli indirizzi che rispondono rapidamente.
Nel caso si tratti di piattaforme di e-commerce o siti aziendali dunque il TTBF è fondamentale per la fidelizzazione dei clienti. Con il tempo si impara a fare affidamento su quelle query che si caricano subito anziché lasciare in sospeso magari per una ricerca urgente. Migliorarne i valori al più presto dunque è una mossa consigliata.
Sebbene il Time to First Byte non costituisca un valore incluso tra i Core Web Vitals è in grado di influenzarne altri che invece ne fanno parte. In particolare il First Contentful Paint (il tempo prima che l’utente visualizzi un risultato sullo schermo). Si tratta delle metriche che Google considera determinanti per definire l’esperienza utente su un sito.
Alcuni siti riescono a mantenere un TTBF al disotto dei 200 ms, decisamente ottimo. C’è tuttavia un aspetto che aziende e piattaforme non possono in alcun modo ottimizzare: quello legata all’utente. Se chi sta navigando sul web utilizza una rete debole il caricamento delle pagine richiederà comunque un tempo superiore.
Come ottimizzare il Time to First Byte
Nella scelta dell’hosting si deve fare attenzione alla tipologia, se si tratti di un servizio condiviso o se invece sia privato (VPS). Il secondo infatti può garantire una velocità superiore anche per siti ampi e articolati. La ragione è che i server condivisi tendono a sovraccaricarsi facilmente con le numerose richieste HTTP che devono gestire.
Un altro aspetto su cui intervenire per abbassare il Time to First Byte sono i redirect. Reindirizzare verso un’altra posizione può aumentare la latenza, soprattutto quando questi passaggi si vengono a sommare fra di loro. In particolare quelli su cui intervenire subito sono i same-origin redirects che avvengono all’interno del medesimo sito web.
Questi reindirizzamenti sono sotto il diretto controllo dell’azienda quindi più semplici da gestire. Esistono però anche i cross-origin redirects, meno semplici da modificare o togliere, e anche quelli che avvengono da HTTP a HTTPS. Per evitare che questo aumenti la latenza però si può sfruttare la procedura HSTS.
In che modo si può misurare con esattezza il TTFB?
- Google Lighthouse. Si tratta di una risorsa open source che il colosso di Mountain View per misurare la qualità di qualsiasi sito web, pubblico o meno. Può agire sia sulle versioni desktop che mobile delle piattaforme. Per utilizzarlo serve prima scaricare Chrome DevTools.
- GTmetrix. Si tratta di uno strumento per misurare la velocità delle pagine che gli si sottopongono per l’analisi. Basta inserire il link del sito per ottenere la stima di diversi parametri tra cui anche il First Contentful Paint e lo Speed Index. Oltre alla velocità di caricamento analizza anche la stabilità del design.
- WebPageTest. Anche in questo caso si tratta di un tool open source che è a disposizione degli esperti del settore fin dal 2008. Si entra nella sezione principale e si inserisce l’indirizzo del sito web da analizzare. Misura il Time to First Byte, il Load Time e lo Speed Index insieme ad altri parametri.