Il modello atomico di Bohr e i suoi postulati
Dopo le strutture atomiche elaborate da Thomson e Rutherford, nel 1913 fu proposto il modello atomico di Bohr. A elaborarlo fu il fisico olandese Niels Henrik David Bohr, che nove anni dopo vinse il premio Nobel per la Fisica. Ormai questa teoria si considera superato date le scoperte successive, ma per la sua epoca rappresentò un enorme passo avanti.
L’elaborazione di questo modello derivò dagli studi sullo spettro di emissione dell’idrogeno (H) e di altri elementi. In quegli anni infatti la spettroscopia aveva fatto grandi passi avanti e grazie anche all’intuizione di Balmer si era capito che le righe dello spettro corrispondevano a diversi livelli di energia.
Prima di arrivare al modello atomico di Bohr
I primi tentativi di definire la struttura atomica si devono agli scienziati Joseph John Thomson (1904) e Ernest Rutherford (1911). Il primo sui libri di scuola si definisce spesso “modello a panettone” in quanto prevedeva una densa nube positiva al cui interno erano presenti le cariche negative, immobili nella propria posizione. La disposizione non era ben chiara perché lo stesso fisico la definiva causale.
La teoria di Rutherford – più elaborato ma più primitivo rispetto al modello atomico di Bohr – proponeva invece quello che si definiva un atomo planetario. La struttura atomica si componeva un nucleo denso e positivo centrale e gli elettroni come particelle che gli orbitavano intorno, come i pianeti intorno al Sole. Rutherford smentì così il modello di Thomson, precisando che l’atomo era in gran parte “vuoto”.
Ciò che mancava alla teoria dell’atomo planetario era una spiegazione che chiarisse come mai il moto degli elettroni fosse continuo anziché arrestarsi. Infatti secondo quanto stabiliva il modello infatti avrebbero dovuto perdere progressivamente energia fino a fermarsi e precipitare a spirale sul nucleo positivo. Fu proprio Bohr a dare una spiegazione definendo il concetto di orbita energetica dell’elettrone.
Per arrivare a definire la propria teoria il fisico danese sfruttò sia i principi della Fisica classica relativi all’elettromagnetismo che la teoria dei quanti elaborata da Max Planck. Ad oggi tuttavia l’unico elemento per cui questa rimane valida è l’idrogeno.
Il postulato delle orbite stazionarie
Il modello atomico di Bohr si basava prima di tutto su un concetto innovativo che è noto come il suo primo postulato.
Questo afferma che l’elettrone può muoversi solo lungo definite orbite circolari, senza mai perdere la propria energia. Le fasce circolari lungo cui si muovono gli elettroni però devono rispettare una condizione precisa relativo al loro raggio.
Espressa in formula indicando con r il raggio questa è r = n x h/2πmv.
Per chiarire:
- m corrisponde alla massa dell’elettrone, che oggi sappiamo essere 9,1093837015×10−31 kg.
- h è la costante di Planck, pari a 6,626 x 10−34 J x s. Si tratta di una costante fisica fondamentale nel campo della meccanica quantistica perché è alla base del concetto del dualismo fra onde e particelle (fotoni).
- v è la velocità con cui l’elettrone si muove lungo la sua orbita nel modello atomico di Bohr. Dipende dal livello energetico in cui si trova la particella.
- n è il numero quantico principale che indica l’energia dei diversi orbitali. Può assumere solo valori interi maggiori o uguali a 1.
Perché l’elettrone si trovi in uno stato stazionario occorre che mvr (il momento angolare dell’elettrone) abbia lo stesso valore di n(h/2π). Questo limite stabilisce che il momento angolare dell’elettrone possa assumere solo alcuni valori, multipli di h/2π.
Il secondo postulato del modello atomico di Bohr
L’orbita in cui un elettrone si trova prima di salire o scendere di un’orbita si definisce stato fondamentale. Se passa a un livello energetico superiore si parla invece di stato eccitato dell’elettrone. Negli stati eccitati la particella rimane per un tempo limitato dopo aver assorbito energia, per poi ritornare a quella originaria rilasciandone la stessa quantità.
Possiamo descrivere questo postulato del modello atomico di Bohr nella forma ΔE = hv. In cui ΔE rappresenta la variazione di energia rilasciata quando l’elettrone ritorna allo stato fondamentale, h rappresenta la costante di Planck. e v la frequenza Anche la radiazione elettromagnetica emessa da un’elettrone quindi può avere solo determinati valori.
Finché rimane sulla stessa orbita dunque l’elettrone non emette radiazioni elettromagnetiche in forma continua come riteneva Rutherford. Se la sua energia rimane sempre costante il livello energetico su cui si muove è detta orbita stazionaria. Anche in questo modello però il suo moto è regolato dall’interazione fra la carica negativa della particella e quella positiva del nucleo.