Infinito di Leopardi: il messaggio sull’immaginazione
Di cosa volesse parlare Giacomo Leopardi nel 1819, quando compose l’Infinito, è ad oggi chiaro. D’immaginazione. Della forza che ci consente di superare ogni ostacolo e di oltrepassare le barriere. Esteriori e interiori.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità[3] s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Cerchiamo di analizzare e comprendere la celebre lirica al meglio.
Composizione: un po’ di storia
Leopardi compose la sua poesia più famosa nel 1819 durante una passeggiata sul monte Tabor a Recanati. Era usuale salire di frequente in solitaria sulla cima del colle nei pressi della sua villa. All’interno dello Zibaldone, nel luglio del 1820, ci spiega inoltre una visione molto chiara. Dove il nostro sguardo esteriore non giunge, lo fa quello interiore. L’immaginazione è la forza che abbiamo per superare gli ostacoli, dunque.
L’intensa e significativa lirica scritta da Leopardi durante i suoi 20 anni viene pubblicata solo nel 1826. Infinito fa parte de gli Idilli. La pubblicazione è così tardiva perché solo in quell’epoca l’autore si allontana da Recanati. Il legame che lo teneva unito a quel paese asfissiante e inglobante è giunta al termine.
I versi di Leopardi descrivono un uomo di ogni epoca da una parte e dall’altra situazioni lontane. Le idee sono chiare fin dall’inizio della lirica. L’uomo descritto si siede su una siepe a contemplare qualcosa che non può vedere. È infatti l’interiorità a fare la differenza così come i processi interiori che va descrivendo. Infinito e immaginazione sono la stessa cosa.
Infinito di Leopardi: forma e temi
- fusione dell’infinito spaziale e temporale: l’espressione del giovane poeta di godere dell’immensità è chiara. Infinito spaziale ed infinito temporale si uniscono insieme. La partenza è però da un dato oggettivo e fisico: la siepe ed il vento. L’infinito non è mistico-spirituale ma solo materiale. Le sensazioni sono il punto di partenza per tutte le riflessioni. Di fronte allo spettacolo dell’infinito la coscienza ha un sussulto causato dal pensiero;
- contemplazione dell’immensità e il desiderio umano di oltrepassare i limiti: Leopardi ha un’emozione intellettuale che non nasce da un sentimento ma dalla razionalità.
La forza dell’immaginazione
L’atto dell’immaginazione presente ne l’Infinito di Leopardi è percepibile dall’utilizzo di verbi quali: sedendo e mirando. Il senso di vaghezza e sospensione è ben reso. L’immaginazione va a tal punto oltre che l’uomo inizia a provare smarrimento nella contemplazione dell’infinito. L’immensità nasce anche in relazione alla consapevolezza di sé stessi in quanto piccoli e limitati.
La parte contemplativa razionale si unisce quindi al meglio con quella dello smarrimento della mente. I momenti, seppure separati, sembrano combaciare in un unico fluire.
Lo scatto intellettuale inizia quando Leopardi si accorge che il silenzio è cosi fragoroso da avere una voce a stante. L’immaginazione dell’eterno è proprio questa. Un attimo in cui in contemporanea si svolgono tutti i tempi, dai più remoti ai più recenti. L’eternità gioca in contraltare con lo spazio fisico percepito limitato nello scorrere delle stagioni. Scavalcando e attraversando il limite della siepe arriviamo nel regno della fantasia. L’immensità stessa è ora vicina e tangibile tanto che l’io si immerge.
I suoni aperti e le parole piene di cui è ricca la lirica aumenta la percezione delle sensazioni.
Riflessioni su l’Infinito di Leopardi
I sentimenti che Leopardi prova ne l’Infinito sono legati a qualcosa che non si può afferrare. L’incertezza non è appagante.
L’intera lirica è quindi connessa strettamente alla Teoria del Piacere dell’autore stesso. Leopardi riconosce la forza oggettiva del limite come condizione umana. E allo stesso tempo la volontà di tentare di superare ciò che ci è stato imposto.Quando il piacere è terminato, ciò che resta è il desiderio di esso. Da più soddisfazione rincorrerlo che afferrarlo e poterlo godere.
Lo stesso paesaggio presente all’interno della lirica non è dominabile a causa della nostra limitatezza. Il limite è allo stesso tempo una possibilità da usare per arrivare al piacere. Leopardi usa il termine emozione intellettuale, come sinonimo. Ciò che è certo è troppo limitativo per la sete di conoscenza dell’uomo.
L’idea viene quindi proiettata in uno spazio e in una durata non quantificabili. Senza confini. Infinito.