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Equazione di Schrödinger: fondamenti e ruolo nella fisica moderna

Equazione di Schrödinger: fondamenti e ruolo nella fisica moderna

Equazione di Schrödinger
  • Nausicaa Tecchio
  • 27 Giugno 2025
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Equazione di Schrödinger: fondamenti e il ruolo per la fisica

Sono in pochi a conoscere la formula esatta, ma l’equazione di  Schrödinger ha comunque una certa fama dato che costituisce una delle basi della Meccanica Quantistica. Formulata nel 1926 rappresenta quella che viene definita la controparte quantistica della seconda legge di Newton per la meccanica classica. Non è altro che la funzione d’onda per descrivere posizione e moto degli elettroni intorno al nucleo.

L’equazione del 1926 rappresenta nel dettaglio il modello ondulatorio dell’elettrone dell’atomo di idrogeno (H). Solo due anni prima con la pubblicazione della tesi di dottorato di De Broglie che ipotizzava il dualismo onda-particella per la materia oltre che per la luce. Oltre che su questo concetto Schrödinger lavorò per integrarvi anche la quantizzazione degli elettroni definita da Bohr. 

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A monte dell’equazione di Schrödinger

Erede della cattedra di Fisica Teorica all’Università Friedrich Wilhelm di Berlino dopo Max Planck, Erwin Schrödinger nel suo lavoro aveva come fine la confutazione dell’interpretazione di Copenaghen. Non esiste una formulazione unica per quest’ultima, ma i concetti che ne facevano parte possiamo individuarli in quelli di seguito.

Prima di tutto a non convincere il celebre fisico austriaco c’era il principio di indeterminazione, definito da Werner Heisenberg nel 1927. Questo come suggerisce il nome stesso stabiliva l’impossibilità di misurare con accuratezza delle coppie di variabili coniugate. Queste nel pratico poi sarebbero velocità e posizione di un elettrone nei diversi istanti. Ciò determinava un limite pesante per la Fisica Quantistica fino all’equazione di Schrödinger.

Un’altra teoria inclusa nell’interpretazione di Copenaghen era quella di Max Born, definita interpretazione statistica. Questa afferma che il quadrato del valore assoluto della funzione d’onda ψ in un suo punto rappresenta la probabilità di trovare la particella in quel punto. Pur se considerata attendibili nei primi anni ’20 non furono pochi i fisici a muoverle delle critiche pesanti,

In particolare pare che il paradosso noto con il nome di “Gatto di  Schrödinger” sia nato come metafora parodistica delle teorie probabilistiche descritte sopra. Come l’animale nella scatola chiusa potrebbe essere vivo o morto, così queste affermavano al tempo stesso l’elettrone ci fosse e fosse assente in un punto, semplificandole al massimo.

La funzione d’onda di una particella libera 

Possiamo trovare l’equazione di Schrödinger scritta in modi diversi, ma possiamo riportare qui quella che descrive l’evoluzione spazio-temporale di una particella unidimensionale libera. Vale a dire iℏ∂/∂t ψ(x, t) = −ℏ2∂2/2m∂x2 ψ(x, t), che risulta un’equazione lineare nella funzione d’onda ψ. Quindi se si trova una soluzione di questa equazione questa può consistere in una combinazione lineare di onde piane. 

Il termine a destra dell’uguale si può trovare scritto anche nella forma Ĥ|Ψ⟩, dove Ĥ indica l’operatore Hamiltoniano, quando si usa l’equazione in 3D. Lo si definisce come un operatore matematico che se si applica alla funzione di stato di un sistema dà come risultato un valore scalare, ossia l’hamiltoniana del sistema considerato. Non è facile però trovare sistemi che si risolvano con l’equazione di Schrödinger, ma ci sono tre casi noti in cui risulta facile.

Uno di questi è l’atomo di idrogeno (H), che presenta un singolo elettrone. Per risolverla però per la funzione d’onda ψ non possiamo usare le coordinate cartesiane dei tre assi (x, y , z) ma quelle sferiche, ovvero  r , θ e  φ. Le relazioni che sussistono fra queste coordinate sono le seguenti: x = rsinθcosφ, y = rsinθsinφ e z = rcosθ.

Dopodiché si fattorizza 𝜓 (𝑟, 𝜃, φ) in tre funzioni, ciascuna delle quali dipende da una variabile. Ovvero 𝜓 (𝑟, 𝜃, φ) diventa uguale a R(r)Θ(𝜃)Φ(φ). Con le opportune semplificazioni si arriva a due equazioni, da risolvere poi singolarmente. 

Dall’equazione di Schrödinger al suo modello atomico

In base alle osservazioni che portarono il fisico austriaco a elaborare la sua equazione possiamo ricavare una sorta di nuovo modello atomico. Si tratta più che altro della ripresa di concetti già enunciati da De Broglie e prendendo come base di partenza il modello atomico di Bohr. Le onde descritte dagli elettroni per Schrödinger infatti non sono altro che gli orbitali, associati a determinati livelli di energia. 

Ogni orbitale è un’area di probabilità, non definita da una traiettoria precisa. In più nella struttura atomica contemplata dall’equazione di Schrödinger non si contempla la stabilità del nucleo. Si limita a descrivere gli elettroni come onde distribuite nello spazio in base alla funzione d’onda Ψ. Il quadrato di quest’ultima (Ψ2) è proporzionale alla probabilità di trovare l’elettrone nell’area dell’orbitale considerato. 

In questo modello atomico rielaborato da quello di Bohr inoltre non si considera a dovere la rotazione degli elettroni (ovvero il numero quantico di spin). Lo stesso vale le variazioni nel loro comportamento che possono avvenire per effetti relativistici. Dello spin tiene conto invece l’equazione di Pauli, estensione di quella di Schrödinger per le particelle con spin uguale a 1/2. 

Le approssimazioni successive

Per quanto all’epoca della sua scoperta gli studi di Schrödinger fossero un  passo avanti per la comprensione del moto delle particelle diventò anche un punto di partenza. Semplificandola infatti Max Born e Robert Oppenheimer ricavarono l’approssimazione adiabatica, una tecnica usata in chimica quantistica per disaccoppiare il moto degli elettroni da quello dei nuclei. In particolare assume che i nuclei degli atomi siano fermi.
 
Questa assunzione deriva dal fatto che gli elettroni sono in grado di seguire il moto dei nuclei di una molecola in modo quasi istantaneo. Poter trascurare questo spostamento consente di semplificare l’equazione di Schrödinger eliminando alcuni suoi termini e ottenendone una forma ridotta. L’approssimazione adiabatica è essenziale nello studio dei solidi molecolari.
 
Sempre in chimica quantistica si utilizza una seconda semplificazione di questa equazione, detta approssimazione orbitalica. Invece di considerare gli elettroni di un atomo polielettronico nel loro insieme li si prende singolarmente, come se ciascuno appartenesse a un atomo di idrogeno isolato.
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