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Effetto Google: perché il nostro cervello dimentica ciò che può cercare online

Effetto Google: perché il nostro cervello dimentica ciò che può cercare online

Effetto Google - perché il nostro cervello dimentica ciò che può cercare online
  • Sara Elia
  • 9 Novembre 2025
  • Guide
  • 6 minuti

Effetto Google: perché il nostro cervello dimentica ciò che può cercare online

Nell’era digitale, ricordare non è più una necessità: è una scelta.
Con l’avvento dei motori di ricerca e la possibilità di accedere istantaneamente a qualsiasi informazione, il nostro cervello ha iniziato a delegare la memoria alla tecnologia. Questo curioso fenomeno prende il nome di effetto Google, e descrive il modo in cui la mente umana tende a dimenticare ciò che può facilmente ritrovare online.

L’effetto Google, strettamente connesso alla digital amnesia, è diventato uno dei temi più discussi nelle neuroscienze e nella psicologia cognitiva contemporanea. Diversi studi hanno infatti dimostrato che l’abitudine a “cercare invece di ricordare” sta modificando i nostri processi di apprendimento e di memoria a lungo termine, spingendoci a usare Internet come una sorta di memoria esterna collettiva.

Ma cosa comporta davvero questo cambiamento? Stiamo perdendo la capacità di ricordare o la stiamo semplicemente trasformando?
In questo articolo scopriremo cos’è l’effetto Google, quali sono le sue cause e implicazioni, e come è possibile trovare un equilibrio tra la memoria naturale e quella digitale, imparando a convivere in modo consapevole con le nuove tecnologie.

Indice
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Amnesia digitale, che cos’è

Ad oggi, la tecnologia ha reso le informazioni sempre più a portata di mano, cambiando radicalmente il modo in cui l’essere umano o apprende e ricorda.
 
In questo senso, è stato introdotto il termine digital amnesia (amnesia digitale) ovvero la tendenza a dimenticare informazioni che sono già memorizzate su dispositivi digitali quali smartphone, tablet o computer. Non si tratta di semplice distrazione, ma di un fenomeno sistematico che riflette come l’uso quotidiano della tecnologia influisca sulla nostra capacità di ricordare e che potrebbe avere conseguenze sulla memoria a lungo termine.
 
Il termine è stato coniato dal Kaspersky Lab, che nel 2015-2016 ha condotto una survey tra più di 6.000 persone in Europa, Stati Uniti e India, per comprendere fino a che punto la tecnologia influisse sulla vita quotidiana. I risultati sono stati chiari: oltre il 70% degli intervistati non ricordava il numero di telefono dei figli e il 49% quello del partner, confidando nella disponibilità dei dispositivi per accedere rapidamente alle informazioni.
 
Come è evidente, affidarsi costantemente a strumenti digitali limita la codifica sensoriale delle informazioni in quanto gran parte dei dati viene memorizzata solo visivamente e non attraverso altri canali sensoriali. In questo modo, si finisce per dimenticare dettagli che un tempo avremmo conservato con naturalezza.
 

Effetto Google, che cos’è

L’effetto Google, strettamente correlato all’amnesia digitale, riguarda invece la tendenza a dimenticare informazioni che si possono reperire facilmente online. In questo senso quindi, non si tratta di ciò che è memorizzato sui dispositivi, ma di dati disponibili tramite motori di ricerca come Google.
 
Alcuni studi condotti nel 2011 da Betsy Sparrow, Jenny Liu e Daniel Wegner hanno infatti dimostrato che le persone tendono a ricordare meglio dove trovare le informazioni piuttosto che le informazioni stesse, se sanno che queste saranno accessibili in futuro. Gli esperimenti condotti da Sparrow e colleghi mostrarono che, dopo aver consultato un’informazione accessibile su Google, i partecipanti tendevano a ricordare con maggiore precisione la posizione dell’informazione (ad esempio “era su Wikipedia” o “l’ho trovata cercando su Google”), piuttosto che il contenuto stesso.
 
In altre parole, il nostro cervello, abituato a ottimizzare le proprie risorse cognitive, ha iniziato a considerare Internet come una sorta di estensione della memoria. Questo processo non è consapevole: è un meccanismo automatico che ridistribuisce l’attenzione e le capacità mnemoniche.
Non memorizziamo più direttamente i dati, ma memorizziamo i percorsi — ad esempio, il sito, la piattaforma o il termine di ricerca utilizzato per trovarli.
 
Tutto ciò dimostra che il cervello si affida ad oggi maggiormente alla memoria esterna, modificando le strategie di codifica e recupero delle informazioni. In questo senso, l’abilità di sapere come e dove trovare un’informazione è percepita come più importante della sua memorizzazione.
 
Entrambi i fenomeni, amnesia digitale ed effetto Google, comportano sia rischi che vantaggi. Da un lato, infatti:
  • riduce la profondità dell’apprendimento;
  • genera dipendenza e superficialità;
  • influenza la capacità di ragionare criticamente e di valutare la veridicità delle informazioni.
Dall’altro, però l’accesso immediato ai dati permette di ottimizzare l’uso delle risorse cognitive, favorendo la rapidità nel reperire informazioni. In termini cognitivi, infatti, sono esempi di efficienza adattiva: il cervello decide di non memorizzare ciò che può facilmente recuperare, risparmiando risorse mentali.
 

L’effetto Google a livello pratico

L’amnesia digitale e l’effetto Google si manifestano quotidianamente in molti ambiti pratici e concreti della realtà. In questo senso, infatti, Internet diventa una memoria esterna sempre disponibile, modificando le modalità di memorizzazione.
 
Nello specifico, durante:
  • situazioni quotidiane: le persone non ricordano più percorsi, numeri di telefono o informazioni basilari perché sanno che possono essere reperiti tramite strumenti digitali;
  • contenuti culturali o visivi: chi, ad esempio, fotografa oggetti durante una visita al museo ricorda meno dettagli rispetto a chi si limita a osservare. La registrazione esterna tramite dispositivo riduce infatti l’elaborazione profonda delle informazioni e la memorizzazione.
  • ambito lavorativo: molti professionisti si affidano a sistemi di sicurezza digitale che possono però diventare critici. Dati aziendali o personali, infatti, possono andare persi o essere violati se non vengono adeguatamente protetti;
  • interazioni sociali: la possibilità di reperire informazioni istantaneamente su colleghi, amici o conoscenti tramite social media e motori di ricerca può portare a dimenticare dettagli importanti delle conversazioni e ridurre la profondità delle relazioni.
Occorre infine precisare che la suscettibilità all’effetto Google varia in base a fattori culturali e individuali: chi vive in società altamente digitalizzate tende a dimenticare più facilmente informazioni reperibili online, mentre chi fa un uso più limitato dei dispositivi conserva meglio le conoscenze.
 

Memoria esterna e adattamento cognitivo

Dal punto di vista delle neuroscienze cognitive, questo fenomeno è un esempio di plasticità cerebrale adattiva. Il cervello, infatti, tende a conservare energia concentrandosi su ciò che ritiene più utile per la sopravvivenza o per le attività quotidiane.
In un contesto in cui le informazioni sono accessibili in pochi secondi, ricordare tutto in modo dettagliato non è più vantaggioso: è più efficiente ricordare come recuperare i dati al bisogno.

Questo passaggio da memoria interna a memoria esterna ha modificato il modo in cui impariamo, comunichiamo e perfino pensiamo.
Siamo diventati “navigatori cognitivi”, più orientati alla ricerca e al collegamento tra informazioni che alla loro conservazione integrale.

Tuttavia, questo nuovo paradigma ha anche dei rischi: se da un lato ci rende più flessibili e veloci, dall’altro può ridurre la profondità della conoscenza e la capacità di concentrazione, poiché la mente si abitua a delegare la fatica del ricordo alla tecnologia.

Un nuovo equilibrio tra mente e tecnologia

L’effetto Google non è necessariamente un segnale di declino cognitivo, ma un indice di adattamento a un ecosistema informativo iperconnesso.
La sfida oggi consiste nel trovare un equilibrio tra memoria biologica e memoria digitale, imparando a sfruttare Internet come alleato, non come sostituto delle nostre capacità mentali.

Allenare la memoria, praticare la lettura profonda, limitare l’uso compulsivo del multitasking e verificare le informazioni sono abitudini che permettono di recuperare consapevolezza cognitiva in un’epoca di informazione istantanea.

Solo in questo modo è possibile trasformare l’effetto Google da rischio di superficialità a strumento di potenziamento cognitivo, sfruttando la tecnologia per ampliare — e non indebolire — le potenzialità della mente umana.

Strategie di prevenzione

Per ridurre gli effetti di amnesia digitale e effetto Google è possibile adottare alcune strategie di prevenzione quali:
  • prendere appunti a mano: scrivere manualmente informazioni importanti stimola la memoria e favorisce la memorizzazione a lungo termine. L’atto stesso infatti coinvolge diversi sensi e processi cognitivi, rendendo più difficile dimenticare ciò che si è annotato;
  • provare a ricordare l’informazione senza aiuti esterni: prima di cercare una risposta online, è utile fermarsi e tentare di richiamarla mentalmente o ricordare contesti associati;
  • limitare l’uso dei dispositivi come unica fonte di memoria: creare archivi cartacei di dati rilevanti, come numeri di emergenza, password, aiuta a non affidarsi esclusivamente alla memoria digitale;
  • leggere fonti diverse: consultare libri o articoli, oltre alle informazioni online, migliora la profondità dell’apprendimento;
  • gestire consapevolmente i contenuti digitali: osservare attivamente ciò che si vuole ricordare prima di registrarlo digitalmente aumenta la memoria degli oggetti, dei luoghi e delle esperienze;
  • fare costanti backup: mantenere copie di documenti importanti cartacei riduce il rischio di perdita accidentale di dati limita la dipendenza esclusiva dalla tecnologia.
A livello generale, bilanciare memoria interna ed esterna permette di conservare la capacità di ragionare, risolvere problemi e memorizzare informazioni. In questo senso, essere consapevoli di questi fenomeni significa poter usare la tecnologia senza rinunciare alle proprie capacità mnemoniche, preservando le proprie competenze critiche.
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