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Chitina: struttura chimica e applicazioni

Chitina: struttura chimica e applicazioni

chitina - struttura e funzioni
  • Nausicaa Tecchio
  • 29 Settembre 2024
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Il polisaccaride azotato Chitina

Nell’esoscheletro del phylum degli artropodi si trova un polisaccaride di struttura chiamato chitina, che dopo la cellulosa risulta il più abbondante in natura. Anche se quest’ultima è di origine vegetale in realtà le due molecole hanno diverse proprietà in comune. Inoltre si trovano tracce di questo polisaccaride anche nei funghi e nei licheni, organismi simbionti delle piante.

Oltre a formare il rivestimento di insetti e altri animali, sono note degli usi in campo medico e cosmetico di questo biopolimero. Basta leggere le etichette di qualche crema o prodotto dimagrante per imbattersi nella dicitura “chitosano”. Si tratta di una sostanza derivata dal polisaccaride in esame che ha diverse proprietà benefiche per l’organismo umano. 

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La struttura della chitina 

La formula bruta di questa molecola è (C8H13O5N)n. Fu scoperta nel 1811 dal chimico francese Henry Braconnot che la estrasse prima da un fungo e poi dall’esoscheletro dello scarabeo. La prima cosa che notò fu che risultava insolubile nell’acido solforico (H2SO4) e dato che faceva parte del rivestimento esterno di un insetto la chiamò χιτών, che in greco significa “vestito“. 

Si presenta come un polisaccaride formato da unità ripetute  di β(1,4)-N-acetilglucosammina (NAG). Consiste in un monosaccaride derivato dalla glucosammina e presenta un gruppo CH3CONH- nella stessa posizione in cui troviamo l’OH nelle unità di glucosio che formano la cellulosa. Come risultato la chitina ha la possibilità formare più legami idrogeno tra le catene.

La presenza di maggiori legami rende questo polimero più resistente della cellulosa, creando delle minuscole fibre cristalline disposte in modo ordinato. Si può presentare in tre forme, indicate con le lettere greche α, β e γ. Nella prima di queste il polisaccaride è composto da catene di NAG parallele e molto ravvicinate fra di loro. 

Quando è in forma β le fibre hanno una disposizione antiparallela e i legami idrogeno sono inferiori di numero rispetto alla forma α. Infine la terza forma (γ) ha una struttura mista fra le due forme viste prima. A seconda di quanto è più abbondante l’una o l’altra forma le proprietà del polisaccaride possono cambiare. 

Come riuscire a estrarla 

Abbiamo detto che la chitina non si trova solo nell’esoscheletro degli insetti, ma in quello della maggior parte degli artropodi, compresi i crostacei. Per riuscire a procurarsi il polisaccaride si parte proprio dal carapace di alcune specie, tra cui il famoso granchio blu. Dato che si torva mescolata a carbonato e fosfato di calcio, pigmenti e varie proteine.

L’estrazione richiede prima di tutto l’impiego di acidi forti come l’HCl per demineralizzare la porzione di esoscheletro. Una volta sciolti i sali presenti nel carapace bisogna passare alla deproteinizzazione per rimuovere i peptidi di struttura presenti. La tecnica impiegata è un trattamento con composti che contengono metalli alcalini. Tra questi il fosfato di sodio (Na3PO4) e l’idrossido di sodio (NaOH). 

Di recente si sta facendo strada un metodo alternativo più naturale per estrarre la chitina, che ricicla parte dei rifiuti vegetali provenienti dall’agricoltura. In particolare torna molto utile lo zucchero fermentato derivato dalle vinacce per il vino rosso. A portare avanti la ricerca c’è un team di ricercatori della Nanyang Technological University di Singapore. 

Una tecnologia alternativa farebbe comodo dato che per riuscire a produrre 1kg di questo composto con il metodo classico servono 330 kg di acqua. Uno costo considerevole in termini di risorse, senza contare i solventi nominati prima e il fatto che la resa dei carapaci sia di circa il 10% (un etto di composto ogni kg di gusci).  

Utilizzi della chitina in campo medico 

Da questo composto si può ricavare tramite deacetilazione il chitosano, già nominato nelle prime righe. Si tratta di una molecola che ha una capacità particolare, poiché pur non potendo essere digerito dall’organismo umano può assorbire i grassi. Una volta che questi si legano al chitosano vengono espulsi attraverso le feci invece di accumularsi nel corpo.
 
Di conseguenza per i pazienti che hanno gravi problemi di obesità o comunque un livello di colesterolo alto nel sangue può essere di grande aiuto. Esistono diversi integratori a base di questo derivato della chitina utilizzati in accostamento ad altri farmaci per potenziarne l’azione. Spesso i medici li prescrivono anche ai pazienti che soffrono di aterosclerosi.
 

In genere questi integratori si presentano come compresse da assumere con acqua prima dei pasti. Quello con il chitosano deve restare però un trattamento passeggero per gli effetti collaterali che può avere. Tra questi i più comuni sono una produzione più marcata di gas a livello intestinale, disturbi della digestione e fitte al torace. 

Bisogna aggiungere che In gravidanza e allattamento questi integratori sono fortemente sconsigliati. E dato che si tratta di una molecola che si estrae dal carapace dei crostacei anche chi presenta allergia ai gamberi dovrebbe evitare di assumere chitosano. 

Le applicazioni in campo cosmetico 

Oltre che come integratore alimentare la chitina e i suoi derivati fanno da base anche per i prodotti usati per la cura del corpo. Presenta infatti delle proprietà idratanti sfruttate nelle creme per il viso e negli impacchi per i capelli. Dato che ha anche una discreta azione microbica aiuta a proteggere le pelli delicate o desquamate da infiammazioni e possibili infezioni. 
 
Alcune aziende utilizzano il chitosano mischiato con la bava di lumaca per realizzare un gel da applicare sul viso che ha proprietà antiossidanti.  L’azione combinata di questi due ingredienti infatti protegge la pelle dai danni  provocati dai raggi UV e la mantiene morbida e liscia. Per questo il gel ricavato può essere usato nelle creme solati o nei prodotti doposole. 
 
Un utilizzo più curioso della chitina la vede impiegata anche nei dentifrici per preservare la salute delle gengive e prevenire l’insorgenza di disturbi come la gengivite. Composti con proprietà antibatteriche come questo polisaccaride sono fondamentali per combatterla e impedire che degeneri nella piorrea.
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