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Archaea: struttura e funzioni

Archaea: struttura e funzioni

archaea - struttura cellulare e funzioni
  • Nausicaa Tecchio
  • 8 Settembre 2024
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Le caratteristiche degli archaea

La classificazione sistematica dei viventi non comprendeva gli Archaea fino al 1977, ma soltanto i Procarioti e gli Eucarioti. A identificare questi microorganismi per la prima volta fu il biologo statunitense Carl Woese mentre insegnava all’Università dell’Illinois – Urbana-Champaign. Le sue scoperte furono una vera e propria rivoluzione nella rappresentazione dello schema noto come albero della vita. 

Dopo il 1977 inizialmente i raggruppamenti tassonomici diventarono sei (chiamati regni) e successivamente tre a partire dal 1990 (definiti domini). Vale a dire i Bacteri, gli Eucarioti e gli Archeobatteri, suddivisi sulla base delle analisi filogenetiche, ovvero della somiglianza a livello di materiale genetico. 

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Cosa sono gli Archaea

Data la loro somiglianza con le cellule procarioti inizialmente queste forme di vita inizialmente erano comprese all’interno di questo dominio. Hanno dimensioni molto simili e come i batteri non presentano un nucleo distinto e separato dal citoplasma. Al loro interno non distinguiamo neanche organuli citoplasmatici simili a quelli degli eucarioti, ma hanno una peculiarità a livello della membrana cellulare.

Analizzando la parete cellulare di questi microorganismi si può infatti notare l’assenza di peptidoglicano, un polimero costituito da zuccheri e amminoacidi. Gli Archaea presentano invece lo pseudopeptidoglicano (detto anche pseudomureina) che presenta delle differenze strutturali ben precise. Per esempio al posto dell’acido meso-diamminopimelico la pseudomureina presenta la lisina.

Tutte le forme D degli amminoacidi del peptidoglicano sono sostituite dalla forma L nello pseudopeptidoglicano, e i legami beta sono del tipo 1-4 anziché 1-3. Alcuni dei microorganismi che appartengono a questo dominio possono avere composizione della parete diversa a seconda delle condizioni in cui vivono. Quelli che si trovano in ambienti ipersalini, per esempio.

Anche a livello della membrana cellulare gli archeobatteri presentano delle caratteristiche che li distinguono dal gruppo dei Procarioti. Inoltre al posto del D-glicerolo presentano la forma L di questa molecola organica. Nei batteri gli acidi grassi della membrana sono unite al glicerolo con legami esterici, negli archeobatteri ci sono legami di tipo etere.

La classificazione del nuovo dominio 

All’interno del gruppo degli Archaea si distinguono tre phyla principali, che vediamo di seguito:

  • Gli Euryarchaeota, ovvero il phylum che comprende il maggior numero di specie. Al loro interno troviamo le specie metanogene (anerobi che producono metano), alcuni organismi marini e estremofili come gli alofili e gli ipertermofili. Quindi archeobatteri che sorpavvivono in condizioni di alta salinità e di temperature elevate. 
  • I Korarchaeota detti anche Xenarchaeota. La prima specie individuata di questo phylum fu Korarchaeum crypotfilum, individuato all’interno delle sorgenti calde del parco di Yellowstone. Si crede che questo ramo degli Archaea si sia distanziato fagli altri due phyla in tempi antichi e quindi sia più simile all’antenato comune di questo dominio.
  • I Crenarchaeota, un phylum che comprende soprattutto microorganismi che vivono negli oceani e nel dettaglio vicino ai vulcani sottomarini. Il primo archeonatterio isolato di questo gruppo fu Sulfolobus solfataricus, un termoacidofilo che prospera vicino a sorgenti acide e calde. Necessita infatti di un pH che oscilla nel range di valori 2 e 3.
Per arrivare a questa classificazione sono stati fondamentali i progressi fatti nel sequenziamento del DNA. Il limite che aveva portato a una grossa difficoltà di identificazione di queste specie è il fatto che non le si potesse far crescere in coltura. 
 

Gli Archaea, organismi estremofili 

La maggior parte dei microorganismi che appartiene a questo dominio si trova in ambienti estremi per uno o più parametri. Esistono diverse specie psicrofile (dal greco  ψυχρός, che significa “freddo”) che sono in grado di moltiplicarsi a temperature inferiori ai 20°C fino agli 0°C. Si possono trovare sui ghiacciai e sono in grado di sintetizzare delle proteine antigelo che impediscono la formazione di cristalli di ghiaccio. 

Abbiamo nominato in precedenza una specie appartenente al gruppo degli Archaea che sopravvive a pH molto acido, ma non mancano gli organismi alcalofili. Si tratta di archeobatteri che possono vivere in ambienti dove il pH varia in un range di valore che va da 8,5 a 11. Sono condizioni che possiamo trovare all’interno dei laghi sodici o nei suoli fortemente alcalini.

Ci sono poi diverse specie alofile estreme, quasi tutte marine. Per svilupparsi hanno bisogno di trovarsi in un ambiente dove il contenuto di sali è del 15-30% (in particolare di NaCl). Sopravvivere richiede mantenere un contenuto di soluti interno alla cellule che sia uguale a quello esterno, in modo da evitare un’ulteriore perdita di acqua. Nel loro citoplasma concentrano zuccheri, amminoacidi e altre sostanze.
 
Non dobbiamo poi dimenticarci degli archeobatteri termofili, che prosperano a temperature comprese fra i 45°C e i 122 °C. Il loro habitat ideale sono gli ambienti geotermali, come i geyser superficiali o le sorgenti calde che si trovano sotto l’oceano. I loro enzimi sopravvivono a loro volta a temperature alte, come la Taq polimerasi utilizzata nella PCR. 
 

Le somiglianze e le differenze con gli eucarioti 

In precedenza abbiamo esaminato le differenze e le somiglianze fra gli Archaea e i Batteri, ma come abbiamo detto sono domini distinti. Per molti versi gli archeobatteri sono considerati più simili agli eucarioti, soprattutto a livello genetico. Infatti presentano gli introni all’interno del proprio materiale genetico, parti non codificanti che invece mancano nel genoma dei procarioti.
 
Un’altra somiglianza con gli Eucarioti si riscontra a livello della struttura di enzimi fondamentali come l’RNA polimerasi, implicata nel processo di trascrizione. Mentre le forme batteriche di questo enzima sono molto piccole e semplici quelle che si trovano negli Archaea sono più complesse e seguono un meccanismo simile a quelle animali. 
 
Anche la struttura dei ribosomi appare simile fra archeobatteri e cellule eucarioti, così come il processo di traduzione degli mRNA che svolgono. Le modifiche post-traduzionali possibili negli Eucarioti però sono molto più articolate rispetto a quelle che sono in grado di fare gli archeobatteri. Questo perché i loro introni sono presenti solo in alcuni geni, in particolare quelli che codificano per gli RNA ribosomiali.
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