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Sostenibilità dei brand: i risultati del sondaggio Google

Sostenibilità dei brand: i risultati del sondaggio Google

brand sostenibilita
  • Sara Elia
  • 24 Dicembre 2022
  • Digital marketing
  • 4 minuti

Sostenibilità dei brand: i risultati del sondaggio Google

Gli italiani guardano con attenzione crescente il livello di sostenibilità dei brand. Un sondaggio Google condotto sul mercato italiano a febbraio 2022, ha mostrato che la ricerca della parola “sostenibilità” è aumentata.  Il 31% dei consumatori pensa che, nello shopping, il fattore sostenibilità sia da preferire al design e allo stile.

Cerchiamo di capire al meglio la situazione attuale a riguardo.

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Sostenibilità dei brand: parla la Generazione Z

I consumatori non si accontentano più del prodotto etichettato “green”, chiedono di più. Alcune motivazioni vanno a ricercarsi in:
 
  • maggiore preoccupazione sulla salute, aumentata con la pandemia;
  • problemi climatici evidenziati dall’aumento evidente delle temperature;
  • caro-bollette, che ha reso chiara la necessità delle energie sostenibili.
Alcuni risultati dei sondaggi tenuti ad intervistati compresi nella fascia di età 18-24 anni riportano che:
  • 37% ritiene la sostenibilità il primo fattore determinante per l’acquisto;
  • 83% gradisce la sostenibilità dei brand tramite un’economia green;
  • 40% pensa che i costi per avere dei prodotti eco-sostenibili dovrebbero essere supportati dalle aziende.
Secondo il sondaggio i giovanissimi inseriscono l’ambiente e la sostenibilità al primo posto tra le 7 azioni prioritarie per il futuro. L’ elemento determinante per la scelta di un marchio diventa quindi il comportamento sostenibile di quest’ultimo.
Non è un caso che alla guida del movimento più attivi del momento ci sia la giovanissima Greta Thunberg. L’hashtag #sostenibilità inoltre, conta circa 12 milioni di post su Instagram e i video con l’hashtag #thrifttok spopolano su Tik Tok e YouTube.
 

Sostenibilità del brand: comunicazione necessaria 

Il 74% degli intervistati del sondaggio Google ha dichiarato di ritenere fondamentale un’informazione:
  • trasparente;
  • di supporto nel di dipanare i dubbi;
  • aiutare a compiere le proprie scelte di acquisto.
Per i consumatori infatti, come dichiarato dal 50% degli intervistati, la mancanza di una comunicazione chiara è un ostacolo all’acquisto. Addirittura ancora di più rispetto alla qualità del prodotto.
 
La comunicazione si presenta dunque come una leva da sfruttare da parte dei marketer per affermare il comportamento sostenibile dell’azienda. La produzione spesso genera nell’opinione pubblica effetti negativi. Non essere a conoscenza dei processi produttivi realizzati, porta a credere che essi siano particolarmente inquinanti e dannosi.
 
L’impegno e la sostenibilità del brand acquistano maggiore credibilità, se convalidato da certificazioni esterne accreditate. Esistono diverse tipologie di etichette regolamentate dalla legge:
  • I: segnala l’eventuale migliore performance del prodotto rispetto ai concorrenti;
  • II: auto-dichiarazione dell’azienda stessa circa il proprio comportamento sostenibile;
  • III: Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD). Ovvero sintetici documenti che riportano il profilo completo del prodotto (risultati numerici dell’impatto ambientale, riciclaggio, consumo di energia, etc).

Il problema del Greenwashing

Tale termine è un neologismo inglese, formato dalle parole green (verde) e washing (imbiancare, mascherare). La parola indica l’atteggiamento di un’azienda che dichiara un comportamento sostenibile non corrispondente alla realtà. 

La Commissione Europea definisce la pratica come appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzate alla creazione di un’immagine verde. Un modo quindi per ripulire la propria immagine di facciata in modo semplice, presentandosi proprio come desiderato dai consumatori. 

Le caratteristiche che potrebbero far scattare il campanello di allarme del consumatore sono varie:

  • mancate informazioni relative a dati e statistiche circa l’impatto ambientale del prodotto o dell’azienda;
  • enfatizzazione di una singola caratteristica del prodotto, o un unico processo aziendale, considerandola sufficiente per definirsi green;
  • assenza delle certificazioni ISO;
  • utilizzo di linguaggi tecnici complessi, non comprensibili alla maggior parte di persone
  • utilizzo di colori e immagini evocativi all’aspetto verde.

La sostenibilità del brand non è un gioco!

Il ruolo fondamentale delle aziende: esempi pratici

I consumatori chiedono aiuto ai brand. La ricerca Google ha infatti dimostrato  che:

  • 82% dei consumatori si è dichiarato sensibile alle problematiche ambientali e d’inquinamento già prima della pandemia;
  • 78% ritiene che il ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico debba essere condotta dai brand stessi.

Dalle interviste emerge che l’attenzione, attualmente, non solo concentrata sui temi legati alla sostenibilità ma anche sulle concrete azioni messe in atto dai brand.  

Le ricerche Google mostrano trend in crescita per parole come ad esempio “moda sostenibile”. Ciò sottolinea che i consumatori non cercano più tanto informazioni sugli argomenti in sè, ma su ciò che realmente si sta facendo.

Alcuni brand hanno già da tempo promosso azioni specifiche. Ad esempio:

  • SHEBA: la campagna del cibo per gatti consente, cliccando sul video YouTube, di contribuire finanziariamente alla protezione delle barriere coralline;
  • NIKE: ha lanciato una collezione di sneakers realizzate con un materiale innovativo, il Flyeather.  Formato per il 50% da pelle riciclata ha l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale della produzione di pellami;
  • GOOGLE: ha ridotto del 50% dei costi energetici nei propri data center. Proprio per questo motivo ha ottenuto il punteggio CSR più alto e ha devoluto oltre 1 miliardo di dollari in progetti di energia rinnovabili.

Speriamo che questi marchi vengano presi come esempi e la sostenibilità dei brand diventi la normalità!

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Sara Elia
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