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Ribosomi: come funzionano le fabbriche di proteine delle cellule

Ribosomi: come funzionano le fabbriche di proteine delle cellule

ribosomi - come funzionano
  • Nausicaa Tecchio
  • 15 Settembre 2024
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Ribosomi: fabbriche di proteine delle cellule

All’interno della cellula troviamo numerosi organelli chiamati ribosomi, in parte liberi nel citoplasma e in parte ancorati al reticolo endoplasmatico rugoso (RER). Si tratta delle fabbriche di proteine della cellula, perché è qui che l’mRNA proveniente dal nucleo viene “tradotto” nella corrispettiva sequenza amminoacidica. Un processo che prende il nome di sintesi proteica. 

Questi organelli si trovano sia nelle cellule procarioti che in quelle eucarioti, anche se fra le due tipologie esistono alcune differenze strutturali. In entrambi i casi sono formati da due subunità (maggiore e minore) formate in parte da rRNA (ossia RNA ribosomiale) e in parte da proteine. Unendosi avviano la traduzione dell’mRNA. 

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La struttura dei ribosomi 

Si tratta di complessi macromolecolari che come accennato sono divisi in due subunità, diverse per peso molecolare e composizione. Nel caso delle cellule procariote questi organelli sono formati da una subunità più grande, la 50S (S rappresenta il coefficiente di sedimentazione) e una piccola, la 30S. Il valore di S si ricava dal rapporto fra la velocità che impiega a sedimentare un corpo ideale e quella del corpo in esame.

A propria volta la subunità 30S si compone di un rRNA 16S più varie proteine di struttura. La subunità maggiore dei ribosomi procariotici invece oltre alla parte proteica presenta due rRNA, il 23S e il 5S. Unite insieme formano un organello 70S, mentre nel caso degli eucarioti il coefficiente di sedimentazione complessivo è pari a 80S.

Nelle cellule animali e vegetali infatti troviamo questi organelli formati da due subunità con un S più alto di quelle analoghe nei procarioti. La minore è indicata con 40S e quella maggiore come 60S.  Analizzando il caso dei mammiferi, la prima comprende l’rRNA 18S unito a varie proteine, la seconda invece presenta ben 3 rRNA accorpati. Vale a dire il 5S, il 5,8S e il 28S.

Il fatto che i valori di S siano diversi dagli rRNA contenuti nelle due subunità è dovuto alla presenza delle proteine. Sia nei procarioti che negli eucarioti però quando le due parti si uniscono formano un solco interno, dove scorrerà l’mRNA durante la traduzione. 

Cosa sono i siti A, P ed E

Durante la sintesi proteica si distinguono nei ribosomi tre distinti siti funzionali. Vediamoli singolarmente:

  •  Il sito A. Si tratta del punto di arrivo dell’amminoacil-tRNA, ovvero di un RNA di trasporto legato a un amminoacido. Qui avviene il riconoscimento e l’appaiamento fra il codone dell’mRNA e l’anticodone presente sul tRNA. Si tratta di una sequenza di tre basi complementare a quella del codone. 
  • Il sito P. Una volta che codone e anticodone si appaiano l’amminoacil-tRNA transita spostandosi sul sito P. A questo punto l’amminoacido trasportato si lega alla catena in formazione formando un legame peptidico con l’ultimo amminoacido aggiunto in precedenza. Il suo legame con il tRNA si scioglie.
  • Il sito E (exit). A questo punto il tRNA non lega più l’amminoacido e passa quindi al punto di rilascio. Una volta arrivato al sito E infatti si stacca dal ribosoma, mentre arriva un altro amminoacil-tRNA sul sito A, ricominciando il ciclo. 

C’è una differenza da precisare fra i ribosomi liberi nel citoplasma e quelli legati al RER presenti nelle cellule eucarioti. I primi sintetizzano proteine ed enzimi che rimangono all’interno della cellula, per esempio quelle coinvolte nel metabolismo. Quelli legati al reticolo rugoso invece sintetizzano polipeptidi che poi andranno processati all’interno dell’apparato del Golgi per essere rilasciati all’esterno della cellula.

Inizio e fine della sintesi proteica nei ribosomi

La prima fase di questo processo è chiamata inizio della traduzione e prevede la formazione del complesso di inizio. Lo compongono la subunità minore dell’organello, i fattori di inizio e l’mRNA da tradurre. Il primo codone dell’RNA messaggero è sempre AUG, sequenza che codifica per l’amminoacido metionina (Met). Quando si legano il primo amminoacil-tRNA e la subunità maggiore i fattori di inizio si staccano.

Da qui in poi comincia la traduzione vera e propria con la fase di allungamento. Lo stesso mRNA può essere tradotto in contemporanea da più ribosomi (polisoma) man mano che questo scorre nel solco del primo. Come visto prima a ogni codone si appaia l’anticodone di un amminoacil-tRNA che attacca un nuovo amminoacido alla catena in formazione.

Quando l’organello arriva alla fine dell’mRNA troverà uno dei tre possibili codoni di stop (le sequenze UAA, UAG o UGA). A questo punto si chiude la traduzione con la fase di terminazione, poiché questi tre codoni non codificano per alcun amminoacido. Nel sito A perciò subentrano i fattori di rilascio che dissociano le due subunità e liberano l’mRNA.

Dato che la sintesi proteica produce solo la struttura primaria o nativa di una proteina la catena polipeptidica ottenuta sarà soggetta a modifiche post-traduzionali. Tra queste troviamo la glicosilazione, la fosforilazione, l’acetilazione o la metilazione. 

Cosa sono le ribosomopatie 

Esiste più di un’anomalia a livello genetico che può compromettere la struttura dei ribosomi. Per esempio le mutazioni a carico del gene RPS19 (Ribosomal Protein 19) danno problemi alla fase di allungamento dell’mRNA durante la sintesi proteica. Questo si traduce in una patologia conosciuta come anemia di Diamond-Blackfan (DBA), che porta a malformazioni ossee e scarsa produzione di emoglobina.
 
L’alterazione a carico dei geni per la biogenesi di questi organelli può portare anche allo sviluppo della sindrome di Schwachman-Diamond. Per la precisione a provocarla sono le mutazioni a carico del gene sbds presente sul cromosoma 7. Si tratta perciò di una trasmissione autosomica che si manifesta solo in omozigosi (ha carattere recessivo). La sua insorgenza media è di un caso ogni 100.000 nascite.
 
La sindrome provoca insufficienza pancreatica a livello esocrino, quindi si hanno problemi digestivi e di assorbimento dei nutrienti a livello dell’intestino. Spesso durante la crescita emergono condizioni come anemia, diabete mellito e ipotermia cronica. 
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