Associazione genica: cos'è e schemi utili per comprenderla al meglio
Parlare di geni associati o meglio di associazione genica ci riferiamo a delle condizioni ereditarie in cui non possiamo applicare i modelli di Mendel. Per la precisione ci riferiamo alla terza legge elaborata dal famoso abate, detta anche principio dell’assortimento indipendente. Ovvero codificano per tratti che restano legati nella trasmissione ereditaria avendo un vincolo spaziale fra di loro.
Per comprendere al meglio questo concetto introdurremo anche il concetto di distanza fra geni, che riguarda la loro posizione a livello dei cromosomi. Quando sono vicini fra di loro sullo stesso cromosoma allora risultano associati, mentre se si trovano su cromosomi diversi si mantiene l’assortimento indipendente illustrato da Mendel.
Alla base dell’associazione genica: la teoria cromosomica
Sui libri di Biologia è facile trovare anche l’espressione linkage fra geni, con cui si indica lo stesso fenomeno. Le basi per definirlo però non le gettò Gregor Mendel, padre della Genetica, bensì uno scienziato americano chiamato Thomas Hunt Morgan, che nel 1910 era occupato in una serie di esperimenti sulla comparsa dei caratteri mutanti nel moscerino della frutta (Drosophila melanogaster).
In una popolazione di moscerini dagli occhi rossi era comparso infatti un maschio che li presentava bianchi. Morgan provò ad incrociarlo con una femmina occhi rossi in modo da capire come si trasmettesse. Da una serie di incroci successivi si osservò che il carattere degli occhi bianchi sembrava trasmettersi alla prole come il cromosoma X. Di fatto quindi il gene per il colore degli occhi doveva trovarsi qui.
Per all’associazione genica era necessario capire che i geni facessero parte dei cromosomi, poiché queste strutture erano note ma la loro funzione precisa non ancora. Dopo che Morgan comprese a grandi linee il ruolo dei cromosomi si arrivò così alla teoria cromosomica dell’ereditarietà, che oggi consideriamo un concetto scontato. Proprio da qui nacque il quesito su cosa succedesse a caratteri presenti sullo stesso cromosoma.
Fino a quel momento si erano esaminati casi dove i famosi alleli erano su cromosomi differenti, ma dalla teoria elaborata era difficile non arrivare a farsi questa domanda. In particolare un esperimento attirò l’attenzione sulla questione, svolto dagli scienziati Bateson, Sounders e Punnet utilizzando come organismo modello la pianta Lathirus odoratus.
La scoperta del crossing-over
L’esperimento accennato sopra e che portò un grosso contributo per definire l’associazione genica è del 1905. Incrociando piante con fiori porpora e polline allungato con altri di colore rosso e polline rotondo si ottenevano quattro fenotipi. Vale a dire porpora allungato, porpora rotondo, rosso allungato e rosso rotondo. Le proporzioni non rientravano con le previsioni di Mendel (rispettivamente 296,19, 27 e 85).
I due fenotipi nuovi invece sembravano ricombinanti, dove una caratteristica si invertiva con quella dell’altro fenotipo parentale. Una cosa simile avvenne al già citato Morgan negli incroci fra moscerini con i caratteri colore del corpo (grigio o nero) e sulla forma delle ali (lunghe o vestigiali). Per spiegare queste ricombinazioni si definì nel 1909 il crossing-over.
Si tratta del fenomeno con cui cromosomi omologhi si scambiano fra di loro delle porzioni di DNA. La possibilità che avvenga questa ricombinazione secondo Morgan era dovuta proprio all’associazione genica. In parole povere più i geni sono vicini più è facile che fra di loro possa verificarsi il crossing-over. Lo scienziato americano a questo punto svolse vari esperimenti per definire la probabilità con cui questa potesse avvenire.
Stando ai risultati ottenuti questa variava da un valore inferiore all’1% fino al 50%, Vista la relazione evidenziata fra la posizione e questa percentuale la prima unità di misura della distanza fra geni si chiama CentiMorgan. Un CentiMorgan non è che è la distanza che corrisponde a una percentuale di probabilità di ricombinazione dell’1%. La massima distanza fra due geni dunque secondo questo sistema era di 50 CentiMorgan (cM).
L’associazione genica e la costruzione delle mappe
Grazie all’esplorazione del concetto della distanza fra geni si arrivò pian piano a costruire delle mappe geniche. Queste consistono nell’attribuire i geni a una rispettiva posizione sul cromosoma a partire dal grado con cui questi risultano associati. Per rilevare questo fattore si parte sempre da un incrocio di prova da cui osservare gli eventuali fenotipi ricombinanti fra due caratteri.
Si procede poi con un test chi-quadrato (χ2) la cui ipotesi nulla H0 presuppone che questi due geni fra di loro non presentino associazione genica. Nel momento in cui questa si può scartare allora bisogna capire quale sia la frequenza di ricombinazione fra i caratteri. Questa si usa come prima stima della distanza. Se questa è del 24% per esempio significa che distano 24 cM.
Lo step successivo è quello di effettuare dei reincroci di prova (testcross) fra la progenie non ricombinante e il doppio recessivo parentale. Questi possono essere a due punti (con due geni considerati) o a tre punti (quando i geni sono tre). Questo secondo tipo di testcross mi permette di stabilire l’ordine della disposizione dei geni oltre alla loro distanza.
Bisogna però considerare la possibilità di un doppio crossing-over, in cui fra tre geni disposti in sequenza la ricombinazione avviene due volte. Si tratta di un evento raro ma possibile, così come è possibile che una ricombinazione successiva cancelli gli effetti di quella precedente. Peri di più lungo il genoma la frequenza di ricombinazione può variare molto a seconda della regione.