Classifiche universitarie: stiamo assistendo alla rovina degli atenei?
L’esistenza di classifiche universitarie sta, per certi versi, rovinando gli atenei. Questo perché ciascuno cerca di ottenere la posizione migliore aumentando così il denaro in entrata. Con spesso la conseguenza di non permettere l’istruzione ai più.
Analizziamo al meglio la situazione paradossale che si è creata ad oggi.
Il paradosso delle classifiche universitarie
- quantità di produzione scientifica;
- prestigio;
- livello dell’insegnamento.
- disinteresse verso scienze umane e sociali;
- fasce temporali troppo brevi per i settori più lenti a produrre risultati;
- criteri per quantificare prolificità ed impatto scientifico non affidabili.
Scalare le classifiche universitarie come priorità
- redazioni di relazioni estranee alle reali esigenze della vita scientifica;
- spreco di talento e di intelligenza;
- procedure amministrative estremamente lunghe.
Due visioni differenti: quale scegliere?
Ad oggi, come abbiamo visto insieme, le regole dell’istruzione vengono dettate anche da aree quali commercio, marketing e finanza. Alcune domande restano aperte. Puntando sul marketing si può davvero ottenere università migliori. O, al contrario si sta distruggendo l’eccellenza creata negli anni dalla cultura?
Per crescere e svilupparsi la competizione potrebbe non essere la risorsa ideale. La collaborazione e la creazione di una rete di ricerca al servizio della conoscenza potrebbe rivelarsi la soluzione migliore.
Ad oggi esistono due visioni sull’istruzione totalmente in conflitto tra di loro. La prima è quella anglosassone. Basata su costose università private, permette l’istruzione solo a una cerchia molto ristretta di elite. La seconda è invece quella europea, basata sulle università pubbliche. Queste permettono a milioni di cittadini, indipendentemente dal reddito, un’adeguata istruzione in grado di rendere una società egualitaria.
Scalare le classifiche universitarie significa quindi:
- rinunciare all’educazione di molti per concentrare le risorse su pochi eletti;
- trasformare le università in aziende e gli studenti in clienti;
- creare un pensiero unico e falsi valori, convenienti al mercato contemporaneo.
L’aspetto positivo è che esistono delle alternative, ove ricercate. Ad esempio proporre all’Europa sistemi di valutazione qualitativi più vicini e consoni alla tradizione culturale e sociale. Perché ad oggi, con l’intento di salvare la vita dell’università ne stiamo, di fatto, stravolgendo l’essenza.
La situazione in Italia
Il nostro Paese è infatti nel mezzo di un processo di trasformazione digitale ed ecologica importante. Lo stesso crea un netto aumento delle opportunità di lavoro. Il vuoto informativo genera però disorientamento nei giovani accrescendo la prospettiva di un lavoro all’estero. Ed è cosi che si crea il fenomeno die cervelli in fuga.
Istituti scolastici, università, imprese ed istituzioni non riescono a costruire punti di contatto con i giovani neodiplomati. Ed è qui che entra in gioco l’importanza dell’orientamento. Tramite esso i giovani imparano a:
- accettare e affrontare le sfide professionali che li aspettane;
- scoprire le competenze da acquisire per essere all’altezza delle aspettative;
- trovare la strada per costruirsi un futuro.
Uno dei fattori scatenanti per le scelte dei giovani è lo status socio-economico della famiglia di provenienza. in Italia la maggior parte dei giovani ambiscono ad un futuro lavorativo al di fuori dei confini. Chi invece, immagina di restare, lo fa per scarsità di mezzi economici dettati dal contesto familiare e un profondo disorientamento.
Ed è qui che entra in gioco il ruolo fondamentale dell’orientamento. Solo delle buone attività che spieghino le varie opportunità che offre il nostro Paese, possono aiutare ad uscire dallo stallo in cui rischiano di restare intrappolati i ragazzi.