Come agisce il botulino
Di recente sui giornali sono comparsi parecchi titoli allarmanti relativi al botulino nei cibi. Verso metà agosto per esempio otto persone sono finite in ospedale dopo aver consumato cibo da asporto da un food truck, guacamole per la precisione. Pochi giorni dopo a Bologna diversi chili di conserva sono finiti sotto sequestro per il sospetto di una contaminazione provocata da questo batterio, il cui nome scientifico corretto però è Clostridium botulinum.
Al genere batterico Clostridium appartiene anche un’altra specie molto temuta, ovvero Clostridium tetani. Le analogie fra queste specie non sono poche, a partire dal tipo di ambiente in cui sono in grado di riprodursi facilmente. Inoltre entrambe le specie producono una tossina potenzialmente letale per l’uomo che va ad agire sul suo sistema nervoso. Di seguito analizzeremo il meccanismo tipico della tossina botulinica.
Il botulino: dove si sviluppa e perché
La scoperta di questo batterio risale al 1897, quando un medico notò che il consumo di salsicce era associato a una malattia molto grave. In latino la salsiccia si chiama botulus, e da questo termine deriva il nome a cui ormai siamo assuefatti. Di fatto però questa specie del genere Clostridium si sviluppa sia nella carne che nel pesce in scatoletta, nei prodotti conservati sottovuoto e persino nelle verdure sott’olio. Non si forma invece nei prodotti conservati in sale, né all’interno dei sottaceti.
Per svilupparsi e sopravvivere infatti al botulino serve un ambiente dove ci sia assenza di ossigeno, e lo stesso vale per tutte le specie di clostridi. Nella conservazione sottovuoto si elimina l’aria, dunque è perfetto per farlo prosperare. Un’altra necessità è la presenza di un pH che non risulti troppo acido: a voler essere precisi deve essere almeno superiore al valore di 4,6. Per intenderci quello che ha il caffè.
Clostridium botulinum ha bisogno anche di una buona quantità di acqua libera, che abbonda nelle verdure sottovuoto o sott’olio, e di amminoacidi, in quanto non produce da solo quelli che gli servono. Dato che produce gas però è possibile individuarne facilmente la presenza nei contenitori sottovuoto. Se il tappo mostra un rigonfiamento anziché avere il centro affossato come dovrebbe essere è un indizio di contaminazione.
Ciò che rende questo batterio pericoloso è la neurotossina che produce, di cui si conoscono ben sette forme. Si classificano con le lettere dell’alfabeto dalla A alla G, ma quelle più studiate sono la tipologia A e la tipologia B. Queste infatti sono quelle che hanno diverse applicazioni in ambito medico, anche se sono da usare con cautela date le numerose interazioni che possono formare con altri farmaci fra cui gli antibiotici.
La tossina e i suoi effetti sull’organismo
Le forme più pericolose dell’esotossina del botulino sono quelle contrassegnate dalle lettere C, D ed E. Iniziano a mostrare i suoi effetti tra le 12 ore e i tre giorni successivi all’assunzione dell’alimento infetto. A differenza delle classiche tossinfezioni alimentari non attacca l’apparato digerente, anzi non compaiono né vomito né crampi o diarrea.
Questo rende difficile capire subito la natura dei sintomi e porta spesso a ricoveri tardivi. La tossina agisce a livello dei neuroni bloccando il rilascio dell’acetilcolina, una molecola che funge da neurotrasmettitore. La troviamo in particolare a livello dei nervi che controllano la muscolatura scheletrica, ovvero i muscoli volontari. In modo simile al tetano, la tossina può arrivare a paralizzarli.
I risultati che ha questa interazione danno luogo a sintomi quali un senso di debolezza generale e fatica a compiere i movimenti del collo. Compaiono poi mal di testa e vista offuscata, oltre a difficoltà a deglutire e a parlare. La paralisi provocata dal botulino può arrivare anche ai muscoli coinvolti nella respirazione rendendola difficoltosa. Alcuni pazienti necessitano di ventilazione meccanica per respirare.
Per contrastare la tossinfezione si ricorre alla somministrazione dell’antitossina per via endovenosa. Interagendo con le molecole di tossina questa riesce a renderla inattiva impedendo la progressione della paralisi. Poiché il farmaco non può debellarla del tutto occorre somministrare l’antitossina già nelle prime ore successive all’esposizione.
Come prevenire le infezioni da botulino in età infantile
Per ridurre al minimo il rischio della tossinfezione da botulino nei bambini sotto l’anno di vita è da evitare di dare il miele. Dato che siamo abituati a considerarlo un alimento sano e migliore dello zucchero può suonare strano, ma può contenere spore di Clostridium botulinum. Nel nostro intestino queste non riescono ad attecchire, mentre in quello dei lattanti risulta anche troppo facile.
Quando la flora batterica intestinale risulta ben formata allora si può tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia volendo essere ancora più cauti l’età minima per dare cibi contenenti miele si può fissare attorno ai 18 mesi. Ma come ci arrivano i clostridi nel miele? Nella maggior parte dei casi sono le api stesse a contaminarlo, o il contatto con altri insetti.
La maggior frequenza di casi da botulismo nei bambini si riscontra negli Stati Uniti, dove si arriva a circa un centinaio di casi diagnosticati all’anno. All’interno dell’Unione Europea il paese che presenta più casi invece è il nostro.
La tossina in ambito medico
Un altro utilizzo interessante della neurotossina A riguarda il controllo della spasticità, se iniettato a livello muscolare. Nei pazienti che soffrono di emiplegia può consentire un maggior controllo della deambulazione e lo sviluppo di nuovi schemi motori. Torna utile anche per controllare i tremori di chi soffre della malattia di Parkinson.