Bioplastiche: la guida al nuovo argomento per il Test TOLC
Il tema delle bioplastiche sta acquisendo sempre più rilievo nella società attuale e non a caso se ne parla sempre di più anche nelle scuole. Le associazioni ambientaliste organizzano spesso laboratori a tema per i più piccoli e non di rado si organizzano conferenze negli istituti. Anche chi si approccia all’università non si salva, anzi dovrà studiarle per sostenere alcuni test di ammissione.
Per la precisione questo argomento rientra nei programmi per il TOLC-MED e il TOLC-VET (rispettivamente per l’accesso a Medicina e Chirurgia e a Veterinaria). Rientrano infatti nell’area della chimica (in ottica green), materia che al primo anno di studio di queste facoltà riveste grande importanza.
Cosa sono le bioplastiche?
Questa definizione raggruppa al suo interno una vasta gamma di materiali che presentano però una o più caratteristiche comuni. La prima è l’essere prodotte a partire da biomasse (cereali, ortaggi…) e quindi da risorse rinnovabili. La materia di partenza può variare ma in generale si tratta di colture agricole destinate a questo uso.
Altro aspetto che le bioplastiche devono presentare per essere definite è quello di essere biodegradabili. Se lasciato all’esterno il materiale va incontro all’azione dei microorganismi e si scompone in sostanze quali acqua, CO2 e residui organici compostabili. Volendo possono essere usate come fertilizzanti per le piante da cui si ricavano.
I materiali che hanno questa denominazione non devono per forza presentare entrambe le caratteristiche sopra citate ma almeno una delle due. Esisteranno perciò plastiche naturali che non sono biodegradabili come altre che non derivano da biomassa ma possono diventare concime. Si tratta di un equivoco che è meglio chiarire in vista dei test.
In generale la bioplastica è un polimero sintetico prodotto attraverso condensazione partendo da reagenti diversi. Alcuni tra i più comuni sono l’amido di mais, la tapioca e la canna da zucchero, ma non mancano materiali plastici realizzati con la canapa o il bambù. La loro produzione ha iniziato ad essere nota su larga scalda dal 2015.
Quali tipologie esistono
Le bioplastiche realizzate finora si possono raggruppare essenzialmente in tre grosse categorie. Eccole di seguito:
- Prodotti a base bio. Si tratta di materiali biodegradabili tra cui si possono nominare il PLA (acido polilattico) e i diversi PHA (poliidrossialcanoati). La prima è una bioplastica ottenuta da amidi naturali che si può modellare ottenendo oggetti trasparenti. I PHA si ricavano dalla fermentazione di batteri e resistono bene all’umidità.
- Bioplastiche non biodegradabili. In genere si producono solo in parte da biomasse, come il Bio–PE. Si tratta di una versione riciclabile del polietilene, che invece ha origine fossile. C’è anche il Bio-PET (alternativa al polietilene tereftalato), un sostituto della resina termoplastica che si usa per farla stare a contatto con i prodotti alimentari.
- Materiali biodegradabili basati su risorse di tipo fossile. A questa categoria appartiene il PBAT (polibutirrato-adipato-tereftalato) che si ottiene dalla condensazione fra tre reagenti (butandiolo , acido adipico e acido tereftalico). Lo si utilizza per produrre sporte per la spesa o in alcuni casi anche piatti e posate usa e getta del tipo ecosostenibile.
La ricerca continua a procedere elaborando nuove formule e soluzioni per realizzare nuovi materiali di questo tipo. Un obiettivo rilevante è quello di riuscire a contenerne i costi di produzione.
Quali vantaggi e svantaggi offrono le bioplastiche
Il riciclo di queste plastiche diversamente dai polimeri sintetici tradizionali permette un grosso risparmio energetico oltre che di emissione di inquinanti. Non occorre svolgere lavorazioni ma solo lasciare che l’azione naturale da parte dei batteri si compia, ottenendo in cambio fertilizzante naturale. Quindi una risorsa ulteriore anziché scarti da gestire.
Meno indicativo ma portato alla luce dall’industria alimentare è il fatto che i contenitori in bioplastica tendono a modificare le caratteristiche organolettiche del cibo. Questo non significa che lo rendano indigesto ma solo che il materiale rilascia amido che può quindi alterare il sapore o l’odore del contenuto.