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L’atomo di Rutherford e di Thomson: modelli atomici a confronto

L’atomo di Rutherford e di Thomson: modelli atomici a confronto

atomo di rutherford - modelli atomici a confronto
  • Nausicaa Tecchio
  • 24 Maggio 2024
  • Consigli per lo studio
  • 5 minuti

Il modello atomico di Rutherford e il confronto con quello di Thomson

Dal punto di vista storico l’atomo di Rutherford e quello di Thomson sono stati elaborati a distanza di ben quattordici anni uno dall’altro. Tra di loro i due modelli atomici sono molto diversi: statico e disordinato l’uno quanto dinamico e ben organizzato l’altro. Eppure nessuno dei due arrivò a rispecchiare la struttura reale di un atomo, per quanto forse Rutherford ci andò più vicino. 

Studiarli aiuta però a capire quali furono le tappe della ricerca per arrivare a elaborare il modello a orbitali e la configurazione elettronica degli atomi. Senza le basi gettate da questi due fisici anzi forse non si sarebbe mai riusciti a definirlo.

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Il modello atomico di Thomson

Tra i due atomi esaminiamo per primo quello che è tale dal punto di vista cronologico. Come riportano i libri di scuola per definirlo con una metafora venne chiamato anche plum pudding. La sua struttura ricordava quella del dolce inglese che di tradizione si prepara a Natale.
Il modello presentava l’atomo come una sfera carica positivamente che al proprio interno presentava come incastonati gli elettroni.

Thomson aveva identificato le particelle cariche negativamente ancora nel 1897, utilizzando il tubo progettato da Crookes. Aveva notato come queste fossero ben 1839 volte più piccole rispetto alla massa di un singolo atomo, ma non le chiamò elettroni bensì corpuscoli. Da qui dedusse che il resto della massa dovesse essere composto da una sostanza carica positivamente, in modo da neutralizzare le cariche negative.

Per quanto sia molto più distante dal modello a orbitali anche rispetto all’atomo di Rutherford per l’epoca già il modello di Thomson rappresentò un gigantesco passo avanti. Prima di lui era la teoria di Dalton quella più diffusa, che vedeva l’atomo come la particella più piccola di un elemento, indistruttibile e uguale a tutte le altre della stessa sostanza. 
 
Thomson pubblicò il proprio lavoro nel 1904 sulle pagine del Philosophical Magazine, una delle riviste scientifiche inglesi che vanta la storia editoriale più lunga. Il suo modello venne messo però in crisi da un esperimento svoltosi cinque anni dopo che scoprì che la sfera positiva ipotizzata in realtà era per la maggior parte uno spazio vuoto. 
 

L’atomo di Rutherford 

Nel 1909 il fisico neozelandese Ernest Rutherford si procurò una sorgente di particelle α, ovvero nuclei positivi di elio. La orientò verso una sottile lamina d’oro (0,01 nm) all’interno di una zona delimitata da uno schermo fluorescente e poi la azionò. Grazie allo schermo poté rilevare la traiettoria seguita dalle particelle positive e proprio dalle direzioni che presero intuì che l’atomo in gran parte dovesse essere vuoto.

Mentre alcune delle particelle α rimbalzavano indietro come ci si sarebbe atteso dalla struttura di Thomson altre attraversavano la lamina. Questo indicava che ci fosse dello spazio libero nell’atomo, e che la carica positiva fosse concentrata in un punto preciso. Il fatto che alcuni nuclei di elio subissero delle deviazioni indicava che si fossero avvicinati alla parte positiva, ma senza colpirla in pieno. 

L’atomo di Rutherford infatti fu il primo a ipotizzare un nucleo positivo, molto denso, attorno a cui ruotavano gli elettroni. Spesso ci si riferisce a questo modello atomico come planetario, poiché il fisico neozelandese lo elaborò immaginando una versione in scala ridotta del Sistema Solare.
Il nucleo al centro come il Sole e gli elettroni in movimento su orbite fisse come i pianeti. 

Una struttura senza dubbio molto più simile a quella reale rispetto a Thomson, ma incompleta. Non forniva infatti informazioni sufficienti per capire quale fosse la posizione degli elettroni intorno al nucleo. Data la natura neutra degli elementi però il loro numero doveva essere tale da bilanciare la carica positiva. 

I due modelli atomici a confronto 

Partiamo dalle somiglianze fra l’atomo di Rutherford e di Thomson, che a un’attenta analisi non sono poche. Entrambi riconoscono gli elettroni come particelle minuscole all’interno dell’atomo, che devono schermare una carica positiva equivalente. Con l’uso del tubo di Crookes infatti Thomson aveva rilevato i raggi catodici e compreso che le particelle negative fossero presenti in ogni elemento.
 
Un altro aspetto che li accomuna è il fatto che gli elettroni rappresentano una parte infinitesima della massa atomica, che è molto più ampia. Rimane l’idea della forma sferica dell’atomo concepita da Dalton, ma per Thomson questa è unica e compatta, mentre per Rutherford è in gran parte vuota. Il modello plum pudding vede una carica positiva uniforme, per quello planetario è concentrata in un punto centrale. 
 
Una differenza lampante è data dal concetto di ordine stabilito dall’atomo di Rutherford, che immagina la sua struttura come un sistema solare 
in miniatura. Thomson non dà alcuna informazione precisa su come si dispongano gli elettroni nella propria struttura atomica, anzi è convinto che questa sia casuale. Dato che gli atomi di uno stesso elemento sono uguali fra loro però questo aspetto appare da subito discutibile. 
 
Possiamo dedurre che Thomson avesse risentito maggiormente dell’influsso di Dalton nel concepire il proprio modello atomico. Il suo collega invece si interessò maggiormente all’applicazione della radioattività per lo studio degli atomi, ma non aveva ancora un’immagine precisa. In più non considerava una profonda contraddizione con i principi della fisica relativa al moto dell’elettrone. 
 

L’atomo di Rutherford e i dubbi chiariti da Bohr

Nel modello planetario l’elettrone descrive la sua orbita grazie all’equilibrio tra l’attrazione con il nucleo e la forza centrifuga, ma secondo l’elettromagnetismo c’è un problema di fondo. Una carica in movimento emette una radiazione elettromagnetica, dunque gli elettroni dovrebbero a poco a poco perdere la propria energia e precipitare sul nucleo. 

La teoria del collasso elaborata da chi criticò questa struttura tuttavia era evidentemente falsa perché le particelle negative restavano sulle proprie orbite. La contraddizione dell’atomo di Rutherford sarebbe stata chiarita da Niels Bohr nel 1913 sfruttando il principio di Planck sulla quantizzazione dell’energia.

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