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Il fenomeno dell’abbandono universitario dopo il primo anno

Il fenomeno dell’abbandono universitario dopo il primo anno

fenomeno abbandono universitario dopo il primo anno
  • Sara Elia
  • 9 Ottobre 2023
  • News
  • 4 minuti

Il fenomeno dell’abbandono universitario dopo il primo anno

In Italia, il fenomeno dell’abbandono universitario è sempre più in crescita. Nell’anno accademico 2022/2023 il 7,3% degli iscritti ha abbandonato gli studi. Analizziamo insieme la situazione attuale e scopriamo le motivazioni dietro questa scelta.

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Abbandono universitario: record in Italia

Il record di abbandono universitario in Italia è alle stelle. I dati, provenienti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, fotografano una fase di crisi per gli studenti. L’ anno accademico appena concluso si è attestato come quello che, nell’ultimo decennio, ha registrato il maggior numero di abbandoni.  Ben il 7,3% degli iscritti, 23.600 studenti, ha lasciato gli studi al primo anno. 
 
L’aumento degli abbandoni, unitamente al calo degli immatricolati, porta con sé degli effetti negativi sul livello di istruzione del nostro Paese. E nel corso del tempo in un gap rispetto agli altri attori internazionali. 
Ad oggi gli ultimi dati della Commissione europea, in merito all’istruzione, collocano il nostro Paese al penultimo posto. La percentuale è di soli 31,2% di laureati tra i giovani tra i 25 e i 29 anni. Ben al di sotto della media europea che si attesta invece al 41,1%.
 
Gli abbandoni universitari sono inoltre un peso economico tanto per le famiglie degli studenti quanto per la pubblica amministrazione. Il costo complessivo dovuto agli abbandoni si aggirerebbe intorno ai 35 milioni di euro per le tasche familiari. Invece, per quanto riguarda la collettività, il costo degli abbandoni universitari al primo anno causa una perdita di circa 170 milioni di euro annui. E quindi un miliardo di euro di spesa pubblica ogni sei anni.
 

Immatricolazioni vs abbandono universitario

Anche i dati relativi alle immatricolazioni sono preoccupanti. A dicembre 2022 ne sono state registrate infatti 295mila. E quindi meno 2% rispetto all’ anno precedente.
 
Le cifre certificano oltre 6 mila iscritti in meno. Nello specifico:
  • meno 6mila unità (2%) rispetto al 2021/2022: immatricolazioni di 295.660 studenti di cui 129.085 uomini e 166.575 donne;
  • quasi 17mila in meno (5,4%) rispetto al biennio precedente anni prima: nell’anno accademico 2021/2022 le immatricolazioni arrivavano a 301.776 (di cui 169.981 maschi e 131.795 femmine).
Nota positiva, c’è da sottolineare che i dati sono relativi in quanto le immatricolazioni in fieri. Potrebbero dunque ancora registrarsi variazioni.
Resta comunque il fatto che, ad oggi, gli immatricolati ai corsi delle Università sono in minor numero soprattutto in Meridione.
 
Le aree di studio più colpite dall’abbandono universitario invece sono:
  • corsi STEM: 91.625 di cui 36.373 ragazze; 
  • Scienze, Ingegneria, Tecnologia e  Matematica: 93.913 studenti di cui 37.076 donne. 
  • facoltà letterarie: dai 57.285 del 2021/2022 ai 55.789 del 2022/2023;
  • ambito sanitario: passati da 48.252 a 45.908;
  • area economica, giuridica e sociale: 102.326 del 2022 ai 102.338 del 2023.
Il tasso di dispersione è quindi estremamente alto. I giovani 18-24enni escono con troppa rapidità dal sistema di istruzione e formazione.
 

Facoltà a rischio chiusura 

Ad oggi gli atenei meridionali sono quelli più soggetti ad abbandoni universitari. Il decremento è di mezzo punto percentuale sul biennio e di 0,2 punti in 12 mesi. In totale, le università del Sud accolgono il 27,8% dei 295.660 immatricolati nel 2022/2023. Alcune facoltà sono già a rischio chiusura per il bassissimo numero di nuovi iscritti e abbandoni. E la situazione non farà che peggiorare di qui a breve. È infatti previste che alcune università dovranno chiudere. 

Il Paese detiene inoltre il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano né lavorano. Il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. E nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32%.

La situazione causata dal calo delle iscrizioni diventerà ancora più allarmante nel 2040. Osserviamo l’attuale classifica dei principali Atenei a rischio chiusura in Italia:

  • Sannio
  • Foggia
  • Casamassima – LUM
  • Salento
  • Salerno
  • Bari
  • Bari Politecnico
  • Napoli II
  • Basilicata
  • Roma UNINT
  • Cagliari
  • Napoli l’Orientale
  • Napoli Benincasa
  • Messina
  • Molise
  • Napoli Federico II
  • Enna – KORE
  • Napoli Parthenope
  • Sassari
  • Perugia Stranieri
  • Roma Biomedico
  • Catania
  • Roma Europea
  • Reggio Calabria
  • L’Aquila
  • Roma Foro Italico
  • Macerata
  • Chieti e Pescara
  • Roma LUMSA
  • Marche
  • Teramo
  • Calabria
  • Castellanza LIUC
  • Aosta
  • Milano San Raffaele
  • Roma LUISS
  • Torino Politecnico

Come affrontare la crisi

La crisi degli abbandoni universitari deve necessariamente essere affrontata al meglio per evitare un eventuale e previsto spopolamento degli Atenei. Quindi diventa importante trasformarla e trarre da essa benefici. Mettere dunque le basi per una spinta agli Atenei a rinnovarsi. La pandemia Covid-19 è stata segnata dal ricorso alla didattica a distanza, un buon modo per iniziare ad internazionalizzare le Università. Un modello interessante da prendere in considerazione è infatti quello “misto: didattica in presenza e didattica a distanza. In questo modo si raccoglierebbero studenti non solo in loco ma anche al di fuori dell’Italia, soprattutto nella confinante Africa.
 
Un rapporto del Talents Venture riporta testualmente che: “Nel 2040 ci saranno circa 190 milioni di giovani africani in età universitaria. Questo bacino rappresenta un’opportunità per gli atenei del nostro Paese. Gli atenei italiani infatti – persa la sfida di attrarre le popolazione in crescita negli anni precedenti (Sud America, Cina ed India) – possono pensare di attrarre, anche grazie alla vicinanza geografica, i giovani africani che potrebbero giocare un ruolo cruciale nella composizione degli atenei italiani dei prossimi anni”.
 
Tale realtà non è da ignorare ma anzi da utilizzare come nuovo potenziale in sostituzione delle università a rischio chiusura per gli abbandoni. Preparare quindi oggi un lavoro ben strutturato, promuovere l’internazionalizzazione, contribuire alla cooperazione sono obiettivi che l’università italiana deve darsi.
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